A cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta, il mondo del cinema, della musica e dello sport non restarono immuni dall’incedere prepotente dell’AIDS. Nel 1985, l’attore Rock Hudson ammise pubblicamente di essere malato.

Nel 1991, Freddy Mercury dichiarò di aver contratto l’AIDS e morì appena ventiquattro ore dopo l’annuncio. Anche il mondo dello sport venne toccato dal virus. Sempre nel 1991, il grande giocatore dell’NBA, Magic Johnson, annunciò al mondo di doversi ritirare dalle scene per aver contratto l’HIV. Oggi Johnson è ancora vivo e vegeto. Ed è uno dei maggiori sostenitori della lotta contro l’AIDS, nonché la prova vivente che le prospettive di vita dei contagiati si sono allungate.
Purtroppo, però, ci sono stati anche sportivi che non ce l’hanno fatta. Pochi giorni fa mi è capitato di leggere un articolo di qualche anno fa in cui si diceva che anche nel calcio italiano c’erano stati alcuni casi di AIDS. Allora mi sono ricordato di Giuliano Giuliani, portiere del Napoli dello scudetto nella stagione ‘ 89-90 e vincitore della coppa Uefa, che morì a metà degli anni Novanta nel silenzio più assoluto. Giuliani era una persona schiva, timida, introversa. Amava stare in disparte, coltivare interessi e lanciarsi in nuove attività. Era anche appassionato di pittura.
Dopo lo scudetto dell’89’-90 e la Coppa Uefa, Giuliani fu costretto ad andare via da Napoli. Una serie di dicerie investirono la sua famiglia, la moglie Raffaella e la piccolissima figliola Jessica. Anche i compagni di squadra cominciarono a non avere più fiducia in lui. Secondo loro, Giuliani si allenava troppo poco e per questo non si sentivano sicuri con lui in porta. Così scappò da Napoli e si trasferì a Udine per giocare con l’Udinese.
Nel 1992, un quotidiano uscì con un titolo affilato più di una lama di coltello: “Giuliani ha l’Aids”. Il portiere non replicò e, dopo lo scalpore iniziale, la questione finì lì. Intanto Giuliani, nel 1993, venne arrestato per aver acquistato cocaina a fini di spaccio. Nello stesso anno si ritirò dal calcio giocato. Poi nel 1994 venne processato e poi assolto dalle accuse di spaccio di droga.
Intanto, però, il male lo consumava. Sempre nel silenzio, perché Giuliani era così timido che non ce l’avrebbe fatta a confessare al mondo che era malato. La mattina del 14 novembre del 1996, dopo aver accompagnato Jessica a scuola, il portiere dai lunghi capelli ricci si recò al Policlinico Sant’Orsola di Bologna, al reparto di malattie infettive per un improvviso peggioramento delle sue condizioni di salute. Nel corso di quell’anno era già stato ricoverato in altre due occasioni. Questa volta, però, Giuliani non uscì vivo dal policlinico. E morì a soli 38 anni. Le comunicazioni ufficiali parlarono di complicazioni polmonari. Nemmeno un cenno alla malattia che aveva generato queste complicazioni.
Pochi mesi fa l’ex moglie del portiere, Raffaella Del Rosario, che lo assistette negli ultimi giorni della sua vita, nonostante si fossero lasciati qualche anno prima, ha finalmente parlato della vicenda con un noto quotidiano italiano. «… forse a distanza di tanto tempo si può fare outing per la prima volta. Anche per chiarezza e informazione. Per aiutare i giovani a non sbagliare. Giuliano è morto di Aids», ha raccontato Raffaella Del Rosario, ex fotomodella con esperienze di conduttrice televisiva al fianco di Maurizio Mosca. La Del Rosario ha chiarito per la prima volta le voci che giravano nell’ambiente del calcio su come Giuliani avesse contratto la malattia. Tipo quella che si sarebbe ammalato al matrimonio di Maradona. «Potrebbe essere – racconta Raffaella – nessuno l’ha mai saputo. Nessuno lo saprà. Sicuramente è stato un contagio sessuale con una donna. La droga non c’entra nulla». Ma la cosa che fece male all’ex-moglie e alla famiglia di Giuliani fu la reazione di diffidenza, paura e distacco del mondo del calcio al momento della scomparsa del portiere. «Tuttora nessuno ricorda più Giuliano, – ha concluso Raffaella Del Rosario – nessuno parla più di lui. Solo perché l’Aids è una malattia scomoda, dà fastidio in un ambiente come quello del pallone. E tutto questo mi ferisce, mi amareggia. Non è giusto».