Era la primavera del 2006 e la Nazionale non aveva ancora vinto il Mondiale. Andai a Milano per intervistare Beppe Bergomi, indimenticato terzino dell’Inter e della Nazionale. Un vero campione di umiltà, dentro e fuori dal campo. Ripropongo uno stralcio dell’ intervista per tre motivi:
- perchè stasera gioca l’Inter e vista la situazione critica ci vuole un’iniezione di umiltà e sacrificio;
- perchè Beppe Bergomi è sempre nel mio cuore di tifoso;
- perchè mi raccontò uno sprazzo di sport vero, pulito, emozionale.
Faccia a faccia con lo “Zio”
La prima sensazione che si prova, incontrando Giuseppe Bergomi, è quella di avere davanti “il volto pulito” del calcio. È disponibile, sereno. No

n sembra di avere a che fare con il Campione del Mondo di Spagna ’82, l’eroe d’Italia ’90, il “condottiero” dell’Inter con 519 presenze in serie A con la maglia nerazzurra, colui che qualcosa ha vinto e avrebbe tutta la nostra comprensione se lo sottolineasse con un pizzico di spavalderia. Invece no. Lo “Zio” Bergomi, come venne soprannominato tanti anni fa, parla delle emozioni che hanno caratterizzato la sua brillante carriera con la modestia del vero campione. Ci incontriamo alla Stazione Centrale di Milano e facciamo una breve ma intensa chiacchierata. Cominciamo a parlare del passato, dei mondiali, delle grandi vittorie, quelle raggiunte e quelle mancate di un soffio. <<Il “mio” Mondiale è senza dubbio quello del ’90, – racconta Bergomi – è stata un’esperienza indimenticabile. C’erano tutti i presupposti per vincere. Siamo arrivati in semifinale senza subire goal e poi abbiamo perso ai rigori con l’Argentina>>. Lo “Zio” non riesce a nascondere un pizzico di amarezza per quella finale mancata per qualche piccola ingenuità. Traspare subito che sangue, fatica e sudore sono rimaste nello stadio di Napoli, che ospitò la semifinale con la squadra di Maradona. Ma appena cito i Mondiali di Spagna ’82, Beppe ritorna a essere un fiume in piena di ricordi. <<Alzare la Coppa del Mondo è un’emozione unica per un calciatore>> spiega. Poi ricorda con stima e affetto il commissario tecnico Enzo Bearzot e tutti i compagni di quella esperienza. <<Ho sempre stimato i calciatori con cui ho giocato. Ho avuto un ottimo rapporto con tutti. Nell’’82 ero parecchio in sintonia con Marco Tardelli, ma anche con Collovati e Scirea.>> Quando gli chiedo se c’era un collega con cui aveva legato di più fuori dal campo, prontamente cita Franco Baresi e Giampiero Marini, il suo compagno di stanza: <<fu lui a darmi il soprannome di “Zio”, per via dei baffi neri che mi facevano apparire più vecchio della mia età>>. Continuiamo a parlare tra il

caos dei treni e la gente che transita o parte, le stesse persone che per anni lo hanno applaudito a San Siro con la sua Inter. Lo “Zio” è il baluardo del gruppo che vinse lo scudetto nella stagione ’88-’89. L’Inter dei record, guidata da Trapattoni, quella di Matthaeus e Brehme. << Quando andò via il “Trap”, fu uno dei momenti peggiori della mia carriera. In quel periodo, io, Zenga e Ferri fummo al centro di una serie di polemiche che mi infastidirono molto>>. In tanti anni in neroazzurro, Bergomi ha giocato con grandissimi campioni del calibro di Rummenigge, Matthaeus e Ronaldo, e ne ha affrontati altrettanti. <<Ne ho marcati molti di attaccanti. Sicuramente il più difficile in assoluto è stato Van Basten, il più completo. Ma anche Vialli e Mancini non erano da meno>>.