Roland Garros 2010, la memorabile impresa di Francesca Schiavone

Dieci anni fa, il 5 giugno 2010, Francesca Schiavone vince il Roland Garros, il secondo dei quattro tornei Slam dell’anno, confermando di essere una delle più grandi tenniste italiane della storia di questo sport. Da sempre un concentrato di grinta e potenza, “la leonessa”, per gli amici “la Schiavo”, classe 1980, si mette in evidenza nella seconda metà degli anni Novanta, raggiungendo i primi titoli ITF. Ma l’esplosione definitiva avviene nel 2001 con i quarti di finale al Roland Garros, la semifinale al torneo di Auckland e altri ottimi piazzamenti che la portano tra le prime cinquanta giocatrici del ranking mondiale. In quel momento l’Italia del tennis ha bisogno di un’atleta con la determinazione di Francesca, solida e inesauribile. Gli ottimi risultati registrati anche nel 2003, tra cui spiccano i quarti di finale agli US Open, la lanciano ai vertici del tennis femminile mondiale, tra le top 20 del circuito WTA. La Schiavone continua a crescere, imponendosi anche nel doppio. Ma è nel 2010 che arriva il grande exploit, che segna definitivamente il suo ingresso nella storia del tennis. Che la Schiavone si trovasse a proprio agio sulla terra rossa non era un segreto per nessuno, ma probabilmente a gennaio in pochi avrebbero immaginato quello che sarebbe accaduto durante l’anno. Francesca scalda i motori conquistando il suo terzo titolo WTA a Barcellona. E fra maggio e giugno compie un’impresa titanica al Roland Garros: arriva a Parigi che è numero 17 del ranking mondiale e al primo turno supera la russa Regina Kulikova in tre set, soffrendo e recuperando anche una situazione di svantaggio nel terzo; al secondo turno ottiene una vittoria più agevole contro l’australiana Sophie Ferguson. Ora le si presenta di fronte un ostacolo molto più consistente: la cinese Li Na, ex top ten e testa di serie numero 11 del torneo. Francesca non si lascia intimorire, non concede campo alla temibile avversaria e la supera in due set con il punteggio di 6-4, 6-2. Agli ottavi batte la russa Marija Kirilenko e al turno successivo affronta il primo momento della verità: la sua avversaria, infatti, è la numero 3 del mondo Caroline Wozniacki. La Schiavone è in stato di grazia e così liquida la campionessa danese con un perentorio 6-2, 6-3, senza concederle sbocchi. In semifinale affronta la russa Elena Dement’eva che, dopo un combattuto set vinto da Francesca al tie-break, è costretta a lasciare il passo all’italiana.

A questo punto tutto diventa possibile. Non conta né classifica né palmares: ci sono due giocatrici in ottima forma che per vincere sono pronte a lasciare il sangue sul campo. In finale trova infatti l’australiana Samantha Stosur, testa di serie numero 7 del torneo, che nei quarti ha eliminato Serena Williams in tre set. Francesca prepara molto bene il match, sia dal punto di vista mentale che tattico. Scende in campo concentrata e gioca in maniera perfetta le sue carte, non mostrando mai segni di cedimento o momenti di paura. Anche all’inizio dell’incontro, quando la Stosur serve solo prime palle di servizio e prova a intimorirla con un dritto micidiale, la Schiavone non si fa mettere all’angolo, non cede campo. Anzi, sul 2 pari risponde con aggressività ai servizi dell’australiana che superano i 190 km/h. La svolta arriva al nono game del primo set, quando l’italiana ha tre palle break: le prime due non hanno buon esito, quella vincente è la terza, complice un regalo della Stosur che fa doppio fallo. Ora tocca a Francesca chiudere il primo set provando a sfruttare il servizio. Va subito sotto 0-30, probabilmente avverte l’importanza della posta in gioco, ma poi infila tre punti consecutivi e va giocare un set point, che però non va a buon fine. Un altro set point, e questa volta conquista il punto decisivo e chiude il parziale per 6-4 dopo quaranta minuti. Ma la Stosur non ci sta, e all’inizio del secondo set si mostra subito aggressiva, conquistando un break e portandosi sul 4-1. Dopo il calo iniziale, Francesca torna a esprimersi ad altissimi livelli e al settimo gioco recupera il break che aveva perso. Da quel momento è un testa a testa che la conduce dritta sul 6 pari. Questo tie-break potrebbe spalancare le porte della storia alla Schiavone o intrappolarla in un insidioso terzo set. All’inizio entrambe le giocatrici tengono il servizio, poi sul 3-2 a proprio favore la Schiavone fa il mini break, infilando successivamente tre punti consecutivi che la portano sul 7-2 e la decretano campionessa del Roland Garros 2010.

Alza le braccia al cielo e cade a terra incredula, bacia il manto rosso del campo centrale Philippe Chatrier. È la prima tra le donne del tennis italiano a vincere una prova dello Slam in singolare. «Oggi sono andata oltre i miei limiti. Ho pensato che puoi arrivare a questo punto solo se lavori molto duro e se hai qualcosa di speciale dentro. Quello che è successo è qualcosa che viene da molto lontano» dichiara dopo il match in conferenza stampa, come riportato da «Tuttosport». È una gioia incredibile, anche perché questa vittoria la porta nella top ten del ranking mondiale, alla posizione numero 6 della classifica, record assoluto per una tennista italiana.

«È buffo: ricorda più il corpo della mente” racconta Francesca dieci anni dopo in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. «La sensazione della pancia e delle gambe per terra sul centrale ruvido, dopo il match point con la Stosur, è qui con me. Sentivo la forma che mi cresceva dentro, partita per partita, fino alla finale. Un’emozione difficile da spiegare. […]Ero totalmente calata nel momento e nella situazione. Ricordo il pensiero prima dell’ultimo punto: mandami la palla, che la gioco come voglio io. Se mi servi sul rovescio, io la colpisco alta, in anticipo, e te la rimando sul rovescio. Io posso, io faccio, io, io, io. Zero paura, soltanto positività. A questo punto posso dire di credere nel destino: lo disegniamo noi. Poi ci sono forze più grandi che ci aprono le strade».

Jennifer Capriati: bambina prodigio, anima fragile

Capriati2
Jennifer Capriati agli esordi

Nel corso della sua carriera tennistica Jennifer Capriati ha vinto 14 titoli WTA di singolare, di cui tre tornei del Grande Slam, uno di doppio e un oro olimpico a Barcellona, guadagnando la prima posizione della classifica mondiale e premi per oltre 10 milioni di dollari. Messa così potrebbe sembrare la presentazione di una qualsiasi campionessa di questo sport. E invece la vicenda professionale e umana della Capriati è stata molto più tortuosa e complessa, al punto di scuotere il mondo del tennis, costringendolo a rivedere alcune regole.

La bambina prodigio

con padre giovane
Jennifer con papà Stefano

È poco più di una bambina Jennifer Capriati quando, nel 1989, ad appena 13 anni si aggiudica i prestigiosi tornei juniores come il Roland Garros, gli US Open e altri appuntamenti importanti. In campo esibisce grinta e talento, Jennifer, dimostrando di essere più forte dei suoi coetanei e quindi già pronta per palcoscenici più importanti. La Capriati fa così il suo esordio tra i professionisti il 5 marzo del 1990, a pochi giorni dal compimento dei suoi 14 anni, partecipando al Virginia Slims of Florida che si gioca a Boca Raton, nella contea di Palm Beach. La giovane atleta non si mostra per niente intimidita e regala una prestazione stupefacente, battendo tenniste esperte e talentuose come la francese Nathalie Tauziat e Helena Sukovà e spingendosi fino alla finale, dove viene fermata, non senza difficoltà, dalla campionessa argentina Gabriela Sabatini. Si consacra così la più giovane tennista della storia ad aver raggiunto un traguardo così prestigioso nel tennis professionistico. Da quel momento è un’ascesa inarrestabile quella della Capriati: la settimana successiva al torneo di Boca Raton, sbarca sulla terra verde di Hilton Head, dove viene fermata soltanto in finale da Martina Navratilova. Seguita e accudita costantemente da papà Stefano, originario di Brindisi, sempre nel 1990 arriva in semifinale al Roland Garros e vince il suo primo torneo tra i professionisti a Dorado, in Porto Rico, entrando tra le prime dieci giocatrici del mondo a soli 14 anni, un altro record straordinario. E continuerà a vincere tanto anche nel 1991 e nel 1992, aggiudicandosi addirittura la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Barcellona.

Jennifer Capriati foto 1
La Capriati in campo

E il 1993 sembra cominciare nel migliore dei modi, con la vittoria dei New South Wales Open di Sydney. Sulla soglia dei 17 anni inizia però a spezzarsi qualcosa nella solidità di questa bambina prodigio. Improvvisamente si scopre fragile e smarrita. È come se la sua giovanissima età le chiedesse conto di questa sua maturazione troppo precoce. I rapporti con il padre si fanno gradualmente sempre più tesi. Nulla di strano, se si pensa che Jennifer è un’adolescente, anche se è già un’affermata tennista che ha guadagnato milioni di dollari. Probabilmente in lei cresce il desiderio di appropriarsi del suo tempo, della sua età: magari vorrebbe uscire con le amiche o addirittura avere un fidanzato con cui fare tardi la sera, concedendosi qualche trasgressione.

Dall’inverno del 1993 Jennifer comincia a diradare sempre di più le partecipazioni ai tornei del circuito, finché nel mese di dicembre viene arrestata a Tampa, in Florida, per aver rubato un anello in una gioielleria. Si parla di cleptomania. Lo dichiara in un’intervista all’Adnkronos anche il professor Sergio De Risio, ordinario di Clinica Psichiatrica all’Università Cattolica del Sacro Cuore, secondo il quale “il fatto che la Capriati sia tanto brava da essere campionessa di tennis vuol dire che, nonostante questo, c’è qualcosa in lei che non quadra, qualche elemento che continua a rivendicare e che esprime attraverso questo comportamento cleptomanico. La cleptomania esprime l’idea di riprendersi qualcosa che manca e nel rischio che l’azione comporta c’è la sfida”. Probabilmente Jennifer vuole riprendere in mano se stessa, la sua adolescenza, scrollandosi di dosso il peso delle responsabilità e delle aspettative. E lo fa trasgredendo le regole: nel maggio del 1994, infatti, viene nuovamente arrestata, questa volta per possesso di marijuana, mentre si trova a Coral Gables, in Florida. Il tennis non è più il suo primo pensiero, ma una trappola da cui fuggire.

Proprio la vicenda della Capriati, spinge la WTA nel 1994 a scrivere regole molto più rigide per l’accesso al professionismo delle bambine prodigio della racchetta: a chi non ha compiuto ancora 14 anni vieta di giocare tornei validi per il circuito ITF o WTA, mentre dai 14 ai 17 anni permette alle tenniste in erba di partecipare annualmente a un numero limitato di eventi, che aumentano progressivamente con l’avanzare dell’età: 8, 10, 12 e 16. Ma intanto è Jennifer a pagare lo scotto: sparisce per circa un anno e mezzo, non gioca più tornei, pare che si alleni poco e male.

Il ritorno

Capriati 3
Gli anni del ritorno

Poi nel 1996 la Capriati torna a giocare, oscillando sempre tra alti e bassi, vittorie e momenti di vuoto. Solo con l’arrivo nel nuovo millennio, la tennista americana riesce a raggiungere finalmente risultati strepitosi: nel 2001 vince due tornei del Grande Slam, Australian Open e Roland Garros, conquistando la prima posizione della classifica mondiale, per poi bissare il successo in Australia anche nel 2002. Ma l’anima fragile e tormentata di Jennifer riemerge prepotentemente insieme a una serie di guai fisici che la costringono ad operarsi e ad abbandonare nel 2004, ad appena 28 anni, l’attività agonistica.

Negli anni ammette di soffrire di depressione e nel 2010 viene ricoverata d’urgenza per quella che inizialmente sembra un’overdose da sostanze stupefacenti, che poi si rivela, come specificato dal portavoce della famiglia Capriati, “un sovradosaggio accidentale di un farmaco prescritto dal suo medico personale”. Nel 2012 viene inserita tra i membri della prestigiosa International Tennis Hall of Fame, ma poco tempo dopo balza nuovamente alle cronache per una denuncia presentata dal golfista statunitense Ivan Brannan, suo ex fidanzato, che afferma di esser stato picchiato dalla campionessa al culmine di una lite. È sempre la stessa Jennifer, fragile e tormentata.

2012 International Tennis Hall Of Fame Induction Ceremony
Nell’Hall of Fame

Nel 2015 scompare all’età di ottant’anni il papà, Stefano Capriati, figura controversa e discussa a cui spesso sono state attribuite responsabilità per le numerose fragilità della figlia. “Amo mia figlia più di quanto immagini. Ma dalle mie parti abbiamo un proverbio che dice ‘quando la mela è matura, mangiala’. Jennifer è matura. Solo dio sa se si stancherà del tennis, ma se e quando accadrà, avrà comunque guadagnato più soldi di quanti io potrei mai darle” aveva dichiarato l’uomo al giornalista Bud Collins negli anni dell’esplosione di Jennifer, come riportato da Ubitennis.com, per poi confessare molto tempo dopo di aver esagerato nel metterle pressione: “Avrei dovuto lasciarle più spazio. Invece cucinavo per lei, vivevo con lei 24 ore al giorno. A volte mi diceva ‘Non voglio allenarmi questa settimana’ ma io insistevo perché si preparasse per il prossimo torneo”. Nonostante tutto, Jennifer l’ha sempre amato e compreso. Lo confermano le parole che gli riservò quando entrò a far parte dell’International Tennis Hall of Fame, riportate da Daniele Vallotto sul sito Ubitennis.com: In questo momento voglio davvero ringraziare mio padre per avermi insegnato tutto quello che so e per avermi dato le basi del mio tennis. Sapeva come insegnarmi nella maniera migliore perché io comprendessi e mi fidassi di lui. Mi ha insegnato molto anche della vita fuori dal campo. Mi ha insegnato cos’è l’amore senza condizioni, cosa vuol dire esserci sempre. Ha un cuore d’oro, e ti ringrazio, papà, per essere come sei”.

Fed Cup, Italia ai play-off: Deborah Chiesa, una luce in fondo al tunnel

Italia_35
Il Capitano Tathiana Garbin con le Azzurre

Se fino a un paio di settimane fa le prospettive del tennis italiano femminile erano nerissime, da questo week-end si comincia a intravedere una luce in fondo al tunnel. Sì perché, in quella che è la serie B della Fed Cup, a sorpresa le nostre ragazze hanno superato la più quotata Spagna sulla terra rossa indoor di Chieti, guadagnandosi così l’opportunità di giocare i play-off di aprile per tornare nella seria A del tennis mondiale. La sfida con le iberiche, terminata 3 a 2 per le ragazze di Tathiana Garbin, ha restituito qualche certezza al tennis italiano femminile: la prima si chiama Sara Errani (n. 141).

Tennis Apia International tournament in Sydney
Sara Errani

Grinta Sarita. La tennista bolognese, dopo aver affrontato un 2017 da dimenticare, in cui è sprofondata oltre la centesima posizione del ranking mondiale a causa di prestazioni pessime e della discussa squalifica per doping, è tornata a brillare come non faceva da tempo. Sabato si è imposta con un autoritario 6-1, 6-1 contro Lara Arrubarrena Vecino (n. 82 del mondo), riportando in parità l’Italia dopo la sconfitta della giovane Jasmine Paolini (n. 161) contro la più quotata Carla Suàrez Navarro (n. 29). Poi la domenica, nell’incontro di apertura tra le due numero 1, Sarita ha confermato che quella del giorno prima non era stata una casualità e di avere ancora l’energia e le motivazioni per competere da protagonista. Con la Suàrez Navarro si è imposta infatti in tre durissimi set con il punteggio di 6-3, 3-6, 6-3, comandando il gioco in alcuni momenti, soccombendo in altri, ma trovando sempre la forza di reagire e di riprendere in mano le redini del match. Sembrava di rivedere la Sara tenace e grintosa che nel 2012 era arrivata in finale al Roland Garros. C’è tanto da lavorare per tornare agli antichi fasti, ma la strada è quella giusta. L’Italia del tennis ha ancora bisogno di lei.

Chiesa_6
Deborah Chiesa

Deborah Chiesa. Il punto decisivo ce lo ha regalato la ventunenne Deborah Chiesa (n. 178), battendo Lara Arrubarrena Vecino con il punteggio di 6-4, 2-6, 7-6. Questa leonessa trentina, al debutto in Fed Cup, fino a ieri non aveva mai giocato un match così importante. Rovescio potente e incisivo, servizio robusto, un dritto che può ancora migliorare, la Chiesa ha affrontato la spagnola con coraggio da veterana, superando in maniera egregia le difficoltà del secondo set e dell’inizio del terzo. Anche quando l’Arrubarrena non sbagliava più nulla, Deborah è rimasta aggrappata all’avversaria rimontando lo svantaggio e trascinandola al tie-break del terzo set, dove le ha annullato addirittura un match point. La sua grinta e il suo gioco hanno riacceso una luce in fondo al tunnel. Speriamo solo che questa luce non sia un fuoco di paglia.