“La vera modernità è coltivare un campo di patate” – Intervista ad Aldo Busi (novembre 2012)

Continua la carrellata delle interviste che ho realizzato per Leiweb: questa volta ripropongo una spumeggiante chiacchierata con lo scrittore Aldo Busi su letteratura, politica e attualità uscita nel novembre 2012 in occasione della pubblicazione del suo nuovo romanzo, El especialista de Barcelona. Eravamo nel pieno della crisi, tra studenti che protestavano aspramente e il tasso di disoccupazione che lievitava. E lui diede la sua soluzione: tornare a lavorare la terra e poi dedicarsi alla lettura per avere consapevolezza di sé e delle proprie scelte. Come dargli torto?

Aldo Busi: “La vera modernità è coltivare un campo di patate”

Irriverente, provocatorio, imprevedibile. Semplicemente Aldo Busi. Adistanza di 11 anni da Casanova di se stessi, lo scrittore bresciano ritorna al BusiAldo_640x420romanzo e pubblica El especialista de Barcelona (Dalai Editore). Storia di uno scrittore che non ha nessuna voglia di scrivere e, seduto sulla Rambla a Barcellona, in compagnia di una foglia di platano, vede scorrere davanti ai suoi occhi la commedia umana. “Con questo romanzo ho trovato la mia integrità – ci ha detto lo scrittore – In questi anni non mi sono mai lasciato corrompere da nessun orizzonte. Il mio orizzonte sono io, la mia opera letteraria e il rispetto per il lavoro altrui”. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la sua ultima fatica letteraria, ma era impossibile resistere alla tentazione di capire il suo punto di vista sulla situazione attuale, tra le proteste degli studenti, la scuola e la situazione politica.

Busi, perché la Spagna, Barcellona e la Rambla?
Barcellona rappresenta la modernità insostenibile, destinata al declino per questioni economiche. Madrid è per vivere, è sensualità e avventura. Barcellona, invece, è per pensare. Credo di aver reso un gran servizio alla città. Se è vero che questo libro lo stanno chiedendo in tutto il mondo, mi dovrebbero dedicare un pezzo di Rambla, magari mettendoci una lapide.

Nel romanzo lei prova a dare un quadro quasi completo della varietà umanità.
I personaggi che abitano queste pagine sono animali in gabbia, conigli impazziti. Persone come noi, dall’apparente ordinarietà. Anche noi siamo dei normalissimi mostri. E probabilmente il mostro più grande è l’io narrante, che osserva questa umanità da seduto.

A un certo punto proprio l’io narrante invita «…i figli del popolo, gli operai, le commesse, quelli dei call center, i contadini, gli impiegati, i precari, gli esodati, i disoccupati, i sottoposti tutti, i neoproletari…” a restare a casa a leggere per capire “cosa c’è nero su bianco». Secondo lei, la lettura ha veramente un potere salvifico o è una tenera illusione?
Ma certo che lo ha. Ti dà la possibilità di prendere nelle mani la tua vita. L’immobilità rappresenta il trampolino di lancio di ogni moto. Se tu non sei capace a star fermo, non sarai in grado nemmeno di correre. Leggere per aver consapevolezza di sé, per poi diventare cittadino ed essere presente nelle scelte, anche in Parlamento. È come sviluppare una forza contrattuale. Per fare questo bisogna accettarsi per quello che si è, cercare di capire i propri limiti, senza dribblarli con la furbizia. Bisogna comprendere che è necessario anche lavorare per perdere e non solo per guadagnare.

Cosa pensa della protesta degli studenti di questi giorni?
Dove non c’è violenza non c’è rinnovamento. La Rivoluzione d’Ottobre e quella francese non nascono perché si sono incontrati al bar e hanno risolto tutto con un accordo tra sfruttati e nobili. Io provo una grandissima simpatia e gratitudine per questi giovani, anche quando sbagliano. Poi, senta, hanno buttano giù un cassonetto, cosa vuole che sia. Le faccio una domanda: c’è più violenza nello sperpero di denaro pubblico o in un gruppo di ragazzi che manifesta in piazza rischiando di prendere le botte? Se quei soldi fossero stati spesi per una mensa scolastica, questi giovani non sarebbero scesi in piazza. Non solo, abbiamo anche un sistema scolastico tremendo. Dovremmo piantarla di illuderli con le pseudo lauree.

Cosa intende per pseudo lauree?
Facoltà fittizie e furbesche come il DAMS o Scienze della Comunicazione hanno sfornato migliaia di aspiranti registi, attori, addetti alle relazioni pubbliche. Questa è una vera truffa, perché non possono pensare di trovare un lavoro inerente alla propria laurea. Il mercato è saturo, lo è per i medici e per gli avvocati, figuriamoci per queste altre figure. È inutile che si facciano illusioni. Io ho vissuto la stessa esperienza. Ho fatto il cameriere, il factotum sfruttato e malpagato. Mi sono iscritto all’università e andavo a scaricare la frutta ai mercati generali di Verona. Facevo qualsiasi cosa. C’erano dei vetri da pulire, lo facevo. Ho preso la patente a 31 anni, perché era inutile averla se non potevo permettermi una macchina. Andavo in bicicletta. Avevo delle cosce meravigliose.

Erano altri tempi.
Mica tanto. Io studiavo Letterature Straniere a Verona, e i miei colleghi universitari erano tutti figli della buona borghesia industriale veneta e arrivavano con macchine di grossa cilindrata. Avevano case bellissime. Oggi è necessario recuperare la cultura del lavoro. Se fai il lavavetri, devi pulirli al meglio. I tuoi vetri devono essere sempre più lucidi e brillanti degli altri, vedrai che qualcuno si accorgerà di te. Però i vetri vanno lavati.

Quindi quale può essere il modo migliore per affrontare il disagio che stiamo vivendo?
La modernità è avere un pezzo di terra e imparare a coltivare le patate. Fatelo al più presto, perché questo “train de vie” non è sostenibile. Ho letto stamattina che il 57% delle famiglie italiane è in difficoltà. È una situazione inaccettabile. Se avete un pezzo di terra, togliete la piscinetta e metteteci delle belle patate. Io lo faccio da anni. Vado pazzo per gli orti. Avete un angolo disponibile, metteteci due galline e andate a palpargli il culo alla sera per vedere se faranno le uova. Questa è la modernità, non è l’i-pad, lo smartphone, il tablet, possedere mille strumenti per comunicare senza avere niente da dirsi.

Pensa che tagliare i costi della politica sia una priorità in questo momento?
Certo, è criminale avere dallo Stato più di 3000 euro di pensione, sia per un Presidente della Repubblica, un Primo Ministro o un parlamentare. Soprattutto in questo frangente, che già dura da anni e secondo me ne durerà altri venti, è vampiresco. Mia mamma ha allevato 4 figli, ha fatto la locandiera e la cuoca, una lavoratrice pazzesca, aveva 300 euro di pensione quando è morta. Cosa ha fatto lei per il paese meno di Scalfaro e Amato?

Salvatore Coccoluto

“Facebook? Una portineria mondiale” – Intervista a Oliviero Toscani (giugno 2012)

Intervistai Oliviero Toscani nel giugno 2012, sempre per Leiweb,

OT foto Orazio Truglio
Oliviero Toscani (foto di Orazio Truglio)

in occasione dell’uscita del libro Moriremo eleganti. Fu interessante chiacchierare con lui di politica, attualità, arte e web. Ne ebbe per tutti, dalla tv, che secondo lui aveva ‘teleidiotizzato’ il Paese, agli italiani popolo di “corrotti, corruttibili e corruttori”. Insomma, venne fuori il ritratto una nazione da rifondare. L’intervista gli piacque così tanto che decise di pubblicarla anche sul suo blog. La ripropongo perché mi sembra ancora di grande attualità.

 

Oliviero Toscani: “Facebook? Una portineria mondiale”

“In Italia dobbiamo avere il coraggio di smetterla di mitizzare certi personaggi, da Saviano a Grillo, lo dico con tutto il rispetto per loro. Oggi, nel nostro paese, uno che dice cose banalmente giuste ormai diventa un eroe. Ovviamente non è colpa di Saviano, ma nostra”. Oliviero Toscani ha un’abitudine rischiosa: quella di essere sincero. Non si tira mai indietro quando c’è da esprimere un’opinione, anche a costo di attirare su di sé antipatie e farsi parecchi nemici. Le sue parole sono sempre forti, come lo sono le sue foto e le campagne pubblicitarie a cui ha abituato il pubblico di tutto il mondo. Pochi giorni fa è uscito il libro/intervista Moriremo eleganti (Aliberti Editore), che lo vede impegnato in una intensa conversazione con il giornalista Luca Sommi. Abbiamo provato a proseguire questo dialogo stuzzicandolo su diversi argomenti di attualità, dalla politica al calcio-scommesse. E ne è venuta fuori una nazione da rifondare.

Toscani, lei nel libro ha dichiarato che “bisogna smetterla di tollerare tutto ciò che ci viene propinato…”. A cosa si riferisce?
Non ho più voglia di ascoltare le cazzate. Quando sento parlare la gente in televisione, che riempie i discorsi di “niente”, “dunque”, “cioè”, non riesco più a sopportarlo. La televisione è uno dei più grandi esempi di volgarità, di cecità e di negazione dell’intelligenza umana. Non voglio più vedere la volgarità. Potranno dire tutto ciò che vogliono del mio lavoro, meno che sia volgare. Anche le foto più forti, tipo quella dell’anoressica.

La farebbe ancora quella foto?
Se dovessi rifare quella fotografia, metterei una maschera sul viso della modella. Perché tutti hanno parlato del caso specifico. Invece io volevo accendere un dibattito sull’anoressia in generale. Le anoressiche a me non fanno pena, mi fanno incazzare.

Con chi è più arrabbiato: con chi fa televisione o con chi la guarda?
Sia con chi la fa sia con chi la guarda. È un mezzo che ci ha rincoglionito, “teleidiotizzato”.

Questi sono anni di grandi cambiamenti nel mondo della comunicazione. Cosa pensa di questa evoluzione dell’informazione sul web?

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La foto di Oliviero Toscani che provocò numerose polemiche

Sicuramente è un bene. Sono un ottimista. L’essere umano è sulla strada della civilizzazione, pur passando attraverso cose incivili e non democratiche. La stiamo ancora percorrendo questa strada. Ogni momento storico ha il suo sviluppo tecnologico. Il web rappresenta un grande passo avanti anche per la fotografia.

Non teme che il proliferare di fotografi sul web, spesso improvvisati, porti ad uno scadimento dei prodotti artistici?
È logico. Più c’è possibilità e più si crea spazzatura. Bisogna esser capaci di distinguere ciò che è buono da ciò che non lo è. Non dimentichiamo che c’è tanta gente che si nutre di spazzatura: mangia male, parla male, scopa male, educa male, si muove male, viaggia male. Quindi….

È un dato di fatto comunque che anche il cambiamento politico e sociale stia passando attraverso i social network e i blog. Non trova che sia straordinario?
Sì, però noi, rispetto al passato e alle opere d’arte che sono state realizzate, penso a piazza dei Miracoli a Pisa e a piazza del Duomo a Firenze, facciamo pochissimo in rapporto al nostro tempo e alle nostre possibilità. In passato sono state realizzate cose fantastiche senza gru e senza elettricità. Nei nostri giorni, con le possibilità che abbiamo, dovremmo fare molto di più, invece si va peggio. Oggi, per esempio, sappiamo dove sono tutti gli stupidi.

Dove sono?
Davanti al loro profilo Facebook, in ordine alfabetico. Sono tutti lì a fare i piccoli portinai. Facebook è una portineria mondiale. Cancella la vera energia creativa dell’immaginazione, che su Facebook è pari a zero. E anche Twitter è indecente, con le sue 140 battute.

E invece dei partiti politici cosa pensa, sono al capolinea?
È un momento in cui devono rivedersi, rifondarsi. Mi sta sulle balle che in Italia uno debba appartenere per forza a un partito. Uno appartiene a delle comunità.

Lei è stato anche assessore a Salemi. Cosa le ha lasciato quell’esperienza?
In Sicilia c’è veramente la mafia, e non è altro che burocrazia. E questa è diffusa in tutta Italia. Siamo un paese mafioso e corrotto. L’italiano è corruttibile e corruttore. Lo si compra con tre ciliegine, purtroppo. È tutto così. È abbastanza vergognoso. A Salemi è stato particolarmente difficile perché tutte le idee venivano soffocate da croste di burocrazia, da interessi antichi di potere che fan sì che non si cambi niente, che non succeda niente di nuovo perché potrebbe mettere in discussione lo status quo. In tutta Italia è così. Siamo un paese molto vecchio, e nemmeno creativo come diciamo di essere. Cosa facciamo noi? Borse e scarpe. Ma i computer li fanno in California.

Ha seguito la vicenda di questi giorni del calcio-scommesse?
Sì, e si riallaccia a ciò che ho detto prima, l’italiano è corrotto, corruttibile e corruttore. Siamo gente senza morale. Un paese, ma anche una comunità o una famiglia, è il risultato di ciò che sono i propri padroni. Noi abbiamo sempre avuto dei padroni senza grandi qualità. Noi non abbiamo fatto mai nessuna rivoluzione. L’han fatta dappertutto: i francesi, gli americani, anche i nordafricani. E noi no. Siamo un popolo strano. Un giorno sono andato ad una conferenza e ho chiesto: “Chi ha votato Berlusconi dei presenti in questa sala?” Nessuno ha alzato la mano. Siamo un paese di servi e ladri. Pensi che in Europa ci vogliono bene perché ci considerano gli scemi del villaggio.

C’è qualcosa da salvare?
Certo, in Italia ci sono delle eccellenze individuali che in altri posti non hanno. Gente fantastica, che non ha niente a che fare con il paese, anzi il sistema gli è stato sempre nemico. Le amministrazioni e le istituzioni aiutano i ladri. Aiutano la FIAT, che si sapeva da 40 anni che stesse fallendo. Tutti ammirano l’avvocato Agnelli, ma cosa ha fatto? Ha fatto fallire la FIAT. E l’abbiamo nominato senatore a vita. Andreotti, senatore a vita, 50 anni al potere, mi dica una legge che ha fatto che sia servita all’Italia. Se chiede in giro, nessuno l’ha votato.

Da più di qualche anno lei porta avanti il progetto Razza umana con il quale si propone di immortalare le persone. Perché il corpo umano è stato sempre al centro della sua attività artistica?
Per me il corpo umano è un paesaggio che esprime un carattere e una cultura. Poi è interessante la sua individualità, la sua unicità. Attraverso il corpo si può leggere la condizione umana. E a me interessa quella.

Salvatore Coccoluto

“Aboliamo tutte le chiese” – intervista a Ermanno Olmi (ottobre 2011)

Dopo quella a Nicola Piovani, vi propongo un’altra intervista che ho realizzato per LeiWeb nel 2011. Incontrai il regista Ermanno Olmi in occasione dell’uscita del suo film Il villaggio di cartone, apologo sul tema dell’immigrazione e della convivenza. Tra le tante cose che raccontò mi colpirono due aspetti in particolare: il suo invito ad abolire tutte le ‘chiese’, passo imprescindibile per raggiungere la piena libertà, e  l’amara constatazione che “la libertà si paga con la solitudine”.

Ermanno Olmi: “Aboliamo tutte le chiese”

“Questo film è colpa di una disgrazia. Quando dovevo partire per girare un

Ermanno Olmi
Ermanno Olmi

documentario su ciò che rimaneva dei popoli mediterranei, una brutta caduta mi ha costretto a letto per 70 giorni. Dopo appena tre giorni già davo di matto. Così mi sono fatto portare un computer e ho iniziato a scrivere la sceneggiatura”. Spiega così il regista Ermanno Olmi, dopo che qualche anno fa aveva giurato di voler girare solo documentari, le motivazioni che l’hanno portato a realizzare Il villaggio di cartone, presentato a settembre tra i film fuori concorso ala Mostra del Cinema di Venezia e in uscita nelle sale italiane venerdì 7 ottobre.

“Visto che non potevo più partire alla ricerca di ciò che rimaneva della civiltà mediterranea – racconta Olmi – l’ho portata sul mio letto. Nel film ho fatto accostamenti che non erano mai avvenuti, tipo quello tra il Cristianesimo e altre culture”. La pellicola tratta il tema dell’immigrazione e della convivenza, della carità cristiana e dell’accoglienza. Una chiesa che viene smantellata e svuotata da tutti gli oggetti sacri. Un parroco che resta solo e disperato, ma che in breve tempo vedrà la sua chiesa, ormai deturpata, riprendere vita grazie a un gruppo di clandestini a cui concederà ospitalità. “Così come si sono mosse le merci con i mercati globali – dichiara il regista – oggi i popoli si muovono verso luoghi in cui possono migliorare le loro condizioni di vita. Questa potrebbe essere la premessa di una nuova idea di civiltà. Spero in un nuovo rinascimento in cui si riesca ad aprire orizzonti fino ad oggi preclusi dalle divisioni culturali e dal colore della pelle”.

Nel film il regista va giù duro con la Chiesa. Ne evidenzia apertamente Manifesto Viallaggio di Cartonel’apparente inutilità, sottolineando come riconquisti il ruolo primario di luogo di accoglienza solo una volta che, svuotata da tutti gli oggetti, si popolerà di anime bisognose. “Ogni uomo è una Chiesa – ha continuato Olmi – liberiamoci dall’idea di Chiesa come ambito in cui rassicurarci attraverso una fede o un’ideologia. Dobbiamo abolire tutte le chiese. Le chiese dei partiti, le chiese economiche. Con la sua idolatria del denaro, anche la Borsa di Milano è una chiesa. Dobbiamo liberacene e recuperare la nostra facoltà di uomini liberi”.

E poi conclude rispondendo alla domanda se si senta solo o meno nel panorama cinematografico italiano attuale. “Se mi parlate dei miei colleghi, sto in gran bella compagnia. In realtà mi sento solo perché non ho mai fatto parte della chiesa del cinema. Quando tutto il cinema italiano era dichiaratamente di sinistra io, che non ero mai stato né comunista né democristiano, mi sono ritrovato completamente isolato. La libertà si paga con la solitudine. Se non siamo disposti a pagare questa tassa morale, saremo sempre sudditi di questa chiesa”.

Salvatore Coccoluto

Intervista uscita su LeiWeb il 5 ottobre 2011.

“Una buona colonna sonora? Questione di seduzione” – intervista a Nicola Piovani (giugno 2011)

Ho deciso di riproporre alcune interviste che ho realizzato per LeiWeb tra il 2010 e il 2013. Le ritengo ancora molto interessanti, per contenuti e spunti storici. Comincio da questa al Maestro Nicola Piovani: la feci nel giugno del 2011 in occasione dell’uscita del suo album antologico In Quintetto, lui mi raccontò come si era trovato a lavorare con registi come Fellini, Nanni Moretti e Roberto Benigni.

Nicola Piovani: “Una buona colonna sonora? Questione di seduzione”piovani

Ha vinto l’Oscar per le musiche del film La vita è bella. Ha collaborato con maestri del cinema come Fellini, Moretti e Tornatore. Come se non bastasse, in gioventù ha composto le musiche dei migliori lavori discografici di Fabrizio De Andrè. In questi giorni, il maestro Nicola Piovani ritorna con In Quintetto, un disco registrato dal vivo che ripercorre in breve la sua storia musicale, risvegliando emozioni forti con le melodie delle sue indimenticabili colonne sonore. Con lui abbiamo parlato del suo rapporto con i grandi artisti con cui ha collaborato e ci ha svelato i segreti per scrivere una colonna sonora seducente.

Piovani, è d’accordo se definisco In Quintetto un’antologia emozionale?
Sì, mi piace la definizione “antologia emozionale”. Magari aggiungerei l’aggettivo “teatrale”. È una costruzione musicale nata per essere eseguita e fruita in teatro, dal vivo, col pubblico e i musicisti in carne e ossa. Il disco è la fotografia fedele di quel concerto in quintetto.

Nel disco sono state inserite La Stanza del Figlio e Caro diario, colonne sonore che ha realizzato per i film di Nanni Moretti. Come e quando è nata la vostra collaborazione?
Ci conoscevamo da tempo, lui lavorava con un eccellente musicista, Franco Piersanti, col quale poi negli anni ci siamo in qualche modo alternati nella collaborazione con Moretti. Nanni, per La messa è finita, mi propose di lavorare insieme e, dopo una titubanza iniziale, accettai e ne sono ora molto contento. Anche se forse è più comodo andare a vedere i film di Moretti già finiti, come spettatore, senza passare per le fatiche della moviola. Habemus papam, per esempio, al cinema me lo sono goduto molto.

Quali sono gli aspetti dei film di Moretti che stimolano di più la sua vena creativa al momento della composizione di una colonna sonora?
Dipende. L’ultima volta che ho scritto per lui è stato per La stanza del figlio. Lì la storia era un elemento fortissimo, molto commovente per me che ho due figli che allora avevano l’età del protagonista.

Quali sono per lei le condizioni ideali per scrivere una buona colonna sonora di un film?

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Nicola Piovani

Una buona intesa col regista. Se il regista è un artista ti stimola a trovare una strada musicale, trasmette la seduzione necessaria perché un film venga bene. L’esempio massimo in questo senso era Federico Fellini. Se il regista, invece, è un velleitario trasmette solo irritazione e frustrazione, e allora meglio lasciar perdere. Ma, del resto, il talento è come il coraggio per don Abbondio, se uno non ce l’ha non se lo può dare.

Nell’album troviamo anche le musiche de La vita è bella di Benigni e un omaggio a Fellini con La voce della luna. Come si è trovato a lavorare con due registi così diversi?
Apparentemente si trovano agli antipodi. E invece scavando le affinità sono più d’una. Fellini ti guidava nelle scelte con la parola, con la voce, con l’aggettivo suggestivo, l’immagina illuminante. Benigni è straordinario nella comunicazione verbale e corporale nello stesso tempo. La parola, lo sguardo e l’entusiasmo insieme mi aiutano molto nello scrivere per lui.

Ha mai rifiutato di realizzare la musica per un film di qualche grande regista perché non convinto pienamente della pellicola?
È successo, ma naturalmente non è garbato fare nomi. Mi è anche accaduto di prendermi il lusso di rifiutare qualche grande progetto cinematografico molto gratificante perché volevo dedicarmi a un mio piccolo progetto di teatro musicale.

Cosa fa nel tempo libero quando non suona il pianoforte?
Al netto dell’ascolto di musica? Beh, vado a teatro, leggo libri, vado allo stadio a vedere la Roma, gioco a carte con gli amici. E poi cucino, con passione dilettantesca, ma con ambizioni presuntuosamente professionali.

Salvatore Coccoluto