Ho intervistato il Maestro Antonio Pappano, direttore dell’Orchestra e del Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che l’11 ottobre sarà protagonista del Festival delle Orchestre Internazionali al Teatro alla Scala di Milano.
La nostra breve chiacchierata è uscita sul numero di ottobre de “La Freccia Expo”. (clicca per ingrandire la pagina)
na che riuscirono a conquistare un posto nell’olimpo del calcio mondiale grazie alla loro classe, alla serietà e alla dignità con cui fecero il loro mestiere. Sì, è vero, pare proprio un ricordo lontano. Facchetti e Scirea. Due espressioni di un calcio che non si vede più negli stadi. Una correttezza e una pacatezza che ormai possiamo solo limitarci a ricordare. Gli Stadio hanno voluto omaggiare questi due campioni, che furono bandiere rispettivamente della Juventus e dell’Inter, con la canzone “Gaetano e Giacinto”, in rotazione da oggi su tutte le radio. Il brano anticipa l’uscita del loro nuovo album, che si intitolerà “Diamanti&Caramelle”, prevista per il 27 settembre.
“Il legame con due personaggi come Scirea e Facchetti è bene impresso nella mia memoria”, ha dichiarato Gaetano Curreri, leader degli Stadio. “Per l’amore
Gaetano Scirea
che ho per il calcio, mi è sembrato bello raccontare le loro storie che “nascono dal basso”, dalla vita vera di periferia. Le storie di quei calciatori “veri”, che riescono a fare di un sogno la loro realtà. Sono campioni che aiutano i bambini a sognare e che oggi vanno riscoperti: Facchetti e Scirea sono punti di riferimento ideali”.
Curreri e compagni, con la complicità di Emi Music Italy, hanno pensato di destinare parte del ricavato derivante dalle vendite della canzone alla Fondazione Giacinto Facchetti per lo studio e la cura dei tumori e a quella dedicata a Gaetano Scirea.
Giacinto Facchetti
L’ennesimo omaggio a due fuoriclasse silenziosi, due tipi abituati a “parlare piano”, come recita il testo della canzone degli Stadio.
“Non amiamo i calciatori con i cerchietti in testa, pieni di tatuaggi, che si fidanzano con le veline, sinceramente non ci appassionano”, ha continuato Curreri, “ognuno può far quello che vuole ma il calcio deve ritrovare una propria armonia e condivisione, sobrietà, serenità, direi autorevolezza, anche nella figura del calciatore, che si è un po’ smarrita ultimamente, perdendo di conseguenza tutta una serie di valori. Non che i calciatori debbano essere per forza dei modelli, anzi, tutt’altro, ma, se hanno cominciato calpestando la terra di campi improbabili, non devono dimenticare mai il sudore e la fatica per realizzare un sogno”.
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Astutillo Malgioglio è stato un calciatore, un portiere di serie A. Ha giocato con squadre del calibro della Roma, della Lazio e dell’Inter. La sua carriera da professionista è durata circa quindici anni, dal 1977 al 1992. Un calciatore atipico: niente macchine potenti, niente ville sfarzose, niente donne facili. Astutillo decise di non dissipare il proprio denaro in beni e svaghi effimeri. Preferì fare qualcosa di utile per gli altri, dando una mano
Astutillo Malgioglio con la maglia dell’Inter
ai bambini affetti da distrofia muscolare. Dopo essersi specializzato nello studio dei problemi motori, nel 1977 cominciò ad accudire bambini affetti da distrofia muscolare. Per questo investì i propri soldi nel centro ERA 77, una palestra che attrezzò con macchine adeguate a prestare le cure a questi bambini.
Nel 1985 andò a giocare con la Lazio, dopo aver militato qualche anno nella Roma. I tifosi biancocelesti non potevano perdonargli l’affronto di aver vestito la maglia dell’odiatissima squadra rivale. Così, partita dopo partita, non perdevano occasione di stuzzicarlo, ricordandogli che era stato uno “sporco romanista”.
Il 9 marzo del 1986, come ogni domenica, Malgioglio scese in campo per difendere la porta della Lazio. Quel giorno i biancocelesti affrontavano il Vicenza. Ad accoglierlo, però, questa volta non furono solo i cori che gli sottolineavano ancora una volta la sua militanza nella Roma. Ci fu anche uno striscione: “Tornatene dai tuoi mostri”. I mostri erano i bambini assistiti da Astutillo. Posso solo immaginare cosa sia successo nella testa e nel cuore di Malgioglio. Il
Astutillo Malgioglio quando giocava nella Roma
tumulto che quello striscione avrà smosso dentro di lui.
No, il giocatore non poteva sopportare questo affronto ai suoi bambini. “Insultate me, ma lasciate stare i “miei” bambini”, avrà certamente pensato in quel momento. La partita ebbe inizio. Malgioglio, distratto e confuso dal disprezzo con cui era stato accolto, prese due goal ingenui, probabilmente evitabili. In quei minuti d’inferno, tra cori, striscioni e avversari che approfittavano di quella giornata no, prese la decisione di farla finita con il calcio. Non poteva sopportare che qualcuno toccasse i suoi “amici fragili”. Così, al fischio finale, Astutillo si tolse la maglietta della Lazio e ci sputò sopra. Poi la gettò verso la curva e uscì dal campo. Pochi giorni dopo rescisse il contratto con la Lazio. E decise di congedarsi per sempre dal mondo del calcio.
Passata da poco tempo quella brutta domenica, gli arrivò la telefonata di Giovanni Trapattoni. Lo voleva assolutamente all’Inter come vice di Walter Zenga. Dopo qualche titubanza, Malgioglio accettò. All’Inter ebbe modo di riscattarsi. Il suo impegno con i bambini distrofici venne appoggiato e incoraggiato da tutti. Dalla dirigenza ai compagni di squadra. Astutillo trovò addirittura alcuni compagni disposti a dargli una mano. Su tutti Jurgen Klinsmann, che fu coinvolto in diverse cene di beneficienza. Nel 1989 arrivò anche lo scudetto dell’Inter. Una grande soddisfazione per un atleta generoso, che era stato ingiustamente maltrattato dal mondo del calcio. Il giusto risarcimento per le sofferenze patite qualche anno prima.
Poi arrivò il ritiro definitivo dalla scena del calcio. Questa volta sul serio. Era il 1992. Astutillo aveva 34 anni e militava nell’Atalanta.
Dopo aver lasciato la carriera agonistica, Malgioglio continuò a gestire il suo centro per la riabilitazione dei bambini distrofici. Ma i soldi finirono in pochissimi anni. Così fu costretto a chiudere Era 77 e a regalare i costosissimi macchinari che aveva acquistato. Per un po’ continuò a fare assistenza gratuita a domicilio. Poi la salute smise di assisterlo e fu costretto ad abbandonare anche questo ultimo stralcio di attività.
Ancora oggi pare che la sua salute non sia delle migliori. Di lui si sa pochissimo. Ma una cosa è certa, quando vedo giocatori capricciosi che passeggiano per il campo, che sfrecciano sulle loro auto potenti, che si mettono in posa davanti ai fotografi con la velina di turno, beh, non posso fare a meno di pensare ad Astutillo Malgioglio. Sì, penso a lui. E mi consolo. Perché rivedo davanti agli occhi qualcosa di più di un atleta, un giocatore, un portiere. Vedo il volto pulito del calcio.