Questa intervista a Gualtiero Bertelli la realizzai nel 2010 sempre per il libro Il tempo della musica ribelle. Compositore e ricercatore, tra i protagonisti del Nuovo Canzoniere Italiano, Bertelli resta uno dei massimi cantori della condizione sociale e culturale veneta negli anni Sessanta.

La sua esperienza di ricercatore e compositore con il Nuovo Canzoniere Italiano iniziò nel 1964. Gualtiero cantava la sua Venezia, quella in cui è nato e vissuto per una vita. Ha raccontato la realtà sociale dell’epoca attraverso degli spaccati di vita vissuta, sempre influenzato dalla sua provenienza culturale. Bertelli, infatti, ha delle radici molto umili. Originario della Giudecca, noto quartiere di Venezia in cui era molto diffuso l’operaismo. Il padre operaio, la mamma casalinga. Una famiglia umile che viveva in un quartiere notoriamente di sinistra. A cinque anni venne iniziato dal padre allo studio della fisarmonica, strumento che caratterizzò la scelta di dedicarsi alla musica popolare. Anche se il suo primo complesso, nato in età adolescenziale, aveva una marcata connotazione rock. Studiò all’istituto magistrale, dedicandosi all’insegnamento elementare. L’amore per la canzone d’autore arrivò con il passare degli anni, soprattutto con il suo coinvolgimento nella politica. Ma alla fine del 1963, grazie all’incontro con alcuni componenti di Cantacronache, con cui era stato messo in contatto da Luigi Nono, Bertelli cominciò il suo percorso con il Nuovo Canzoniere Italiano. Proprio nell’ambito di questa esperienza formò, insieme a Luisa Ronchini e Alberto D’Amico, il primo nucleo del Canzoniere Popolare Veneto. Comincerà così, nel 1964, il lavoro di ricerca sulla musica popolare, sul canto sociale veneto e su quello di altre regioni italiane. Gualtiero ha cominciato scrivendo canzoni che raccontavano la realtà in cui viveva, usando il suo dialetto, la lingua della classe operaia. Si è occupato e si occupa tutt’oggi del recupero del repertorio musicale della tradizione popolare veneta e della composizione di nuovi brani in dialetto ispirati alla condizione sociale e culturale di Venezia. Lo spettacolo “Tera e aqua”, ambientato nella Venezia di quegli anni e proposto per la prima volta nel 1966, rappresentò l’esordio del Canzoniere Popolare Veneto. Dallo spettacolo venne tratto il disco Addio Venezia addio, pubblicato nel 1968 dall’etichetta Dischi del Sole. Quella fu una grande annata per Bertelli, infatti, nello stesso anno, pubblicò Nina ti te ricordi, una delle sue canzoni più celebri.
Gualtiero, domanda di rito, come è avvenuto il primo contatto con la musica di Cantacronache?
Ho sempre suonato la fisarmonica, fin da quando ero bambino. All’inizio mi esibivo in un complessino per ripagare le spese. In quegli anni frequentavo la scena culturale e politica veneziana. C’erano parecchi giovani che partecipavano. E proprio in quei giorni cominciarono ad arrivare alla libreria Internazionale, uno dei nostri luoghi di ritrovo, i dischi del Cantacronache. Mi appassionai subito a quel tipo di canzoni, a quel modo di comunicare. Così decisi di cominciare a scrivere canzoni che rappresentassero le mie convinzioni. Io abitavo alla Giudecca, un quartiere di Venezia, e proprio in quel periodo Liberovici e altri musicisti del Cantacronache vennero lì a fare un concerto. Così ebbi modo di conoscerli e apprezzarli. Così cominciai ad appassionarmi alla musica popolare e al canto sociale.
Quanto ha influito su questa tua passione il fatto di appartenere a una famiglia operaia?
Tantissimo. Mio padre era un metalmeccanico e mia madre una casalinga. Abitavamo alla Giudecca, che ai tempi era la parte più povera della città. Una zona proletaria, con una tradizione comunista molto forte. L’antifascismo era alla base della nostra cultura. Io sono cresciuto in quell’ambiente e nelle mie canzoni ho messo il punto di vista di chi veniva da quella tradizione culturale.
Ho letto una bellissima presentazione che ti ha dedicato Straniero su di un numero della rivista Nuovo Canzoniere Italiano. La ricordi?
Sì, fu proprio Michele Straniero a introdurmi nel Nuovo Canzoniere Italiano. Lui mi venne a cercare allo studio in cui provavo e mi chiese di partecipare allo spettacolo “Bella ciao”, che si sarebbe tenuto a Spoleto.
Qual era il suo rapporto con Bosio e Leydi?
Bosio lo conobbi a Mantova. Assistette a una mia esibizione. Gli piacquero moltissimo le cose che raccontavo nelle mie canzoni. Parole legate alla mia terra, alla mia cultura e alle mie umili origini. Devo ammettere che sia lui che Leydi mi hanno molto valorizzato.
Nel frattempo avevi formato il Canzoniere Popolare Veneto.
Sì, lo fondai poco tempo dopo il mio ingresso nel Nuovo Canzoniere Italiano. La storia del Canzoniere Popolare Veneto iniziò dalla mia collaborazione con Luisa Ronchini. Poi arrivò D’Amico. Cominciammo con lo scavare nella tradizione veneta, nell’esplorare un mondo sconosciuto a molti.
Qualche mese fa è scomparso Ivan Della Mea. Che ricordo hai di lui?
Ivan è stato un punto di riferimento per me. Lui si distingueva per l’uso del dialetto milanese nelle sue canzoni. In questo senso il suo contributo è stato fondamentale. Per quanto mi riguarda mi ha dato coraggio per continuare sulla strada del dialetto.
Secondo te, da cosa è dipesa la fine del Nuovo Canzoniere Italiano?
La fine del Nuovo Canzoniere Italiano è stata caratterizzata da un processo lento, durato parecchi anni. Iniziò con la morte di Gianni Bosio, un duro colpo per tutti visto che lui era la coscienza cultura e politica del gruppo. Con il tempo venne meno anche il sostegno economico. La situazione politica italiana di fine anni Settanta diede il colpo di grazia a questa esperienza. Il terrorismo era diventato la nuova piaga da annientare. Il lavoro di ricerca del Nuovo Canzoniere venne considerato superato per i tempi che correvano.