Coppa Davis 1976: il trionfo dell’Italia, tra polemiche e pressioni politiche

Partiamo da un fatto sportivo: nel 1976 la nazionale maschile di tennis vince la Coppa Davis, la massima competizione a squadre di questo sport, sul campo e con grandi meriti. Siamo nell’anno in cui Adriano Panatta raggiunge il pieno della maturità tennistica, affermandosi sia come leader indiscusso della squadra sia come campione a livello individuale con le vittorie agli Internazionali d’Italia e al Roland Garros. Al suo fianco ha colleghi di grande valore. Uno di questi è Paolo Bertolucci, figlio di un maestro di tennis e quindi nato con la racchetta nella culla. Grande talento, ma molto pigro e amante della buona cucina, che spicca per le sue doti di doppista. Poi c’è Corrado Barazzutti, giocatore molto solido dal punto di vista atletico, votato al sacrificio, che possiede una continuità invidiabile nel gioco e nei risultati. E infine Tonino Zugarelli, anche lui un ottimo atleta che riesce a esprimersi meglio sulle superfici veloci. Dopo la brutta sconfitta nell’edizione del 1975 contro una non irresistibile Francia, che costò il posto da capitano a Fausto Gardini, la guida della squadra viene presa da Nicola Pietrangeli, mentre Mario Belardinelli rimane a ricoprire il ruolo di direttore tecnico. Ed ecco arrivare nuove motivazioni e una maturità che probabilmente attendeva solo il momento giusto per esplodere.

Quell’anno l’Italia di Pietrangeli parte bene, battendo la Polonia e la Jugoslavia senza particolari patemi. Poi a luglio affrontano la Svezia di Bjorn Borg, fresco campione di Wimbledon. L’Italia gioca in casa, sui campi del Foro Italico, ma la sfida sulla carta è difficile. Finché non arriva il forfait di Borg per un leggero infortunio. Senza il loro campione, gli svedesi diventano facile preda di Panatta e compagni, i quali si qualificano così alla finale della Zona Europea, che li mette di fronte alla Gran Bretagna. La vera insidia non è costituita tanto dal valore avversario, quanto dalla superficie scelta dai padroni di casa, ovvero l’erba. I risultati e la tradizione sul manto verde non pendono certo dalla parte degli azzurri. Bisogna prendere quindi le contromisure: come singolarista viene schierato Zugarelli che, rispetto a Barazzutti, si sente maggiormente a proprio agio sull’erba. La mossa si rivela vincente: Tonino porta a casa il primo punto contro Roger Taylor, giocando un ottimo tennis e vincendo in quattro set con il punteggio di 6-1, 7-5, 3-6, 6-1. «Alla fine della partita ci fu un abbraccio collettivo» ricorda Zugarelli nell’autobiografia, Zuga – Il riscatto di un ultimo. «Scesero tutti in campo per festeggiare la vittoria, Belardinelli per primo. C’era un clima di entusiasmo, di emozione, un sentimento di unione e la consapevolezza di una squadra che sospettavamo potesse crescere ancora».Poi tocca a Panatta che deve affrontare John Lloyd nel secondo singolare: sulla scia dell’entusiasmo Adriano lo supera in cinque set. Il doppio non va benissimo: i solidissimi Panatta e Bertolucci cedono al quinto set dopo aver condotto per 2 set a 0. Ma ci pensa Adriano a chiudere la pratica battendo Roger Taylor in quattro set, seguito da Zugarelli che, a risultato ormai acquisito, porta a casa anche l’ultimo incontro.

Nella semifinale, in cui si incrociano i vincitori delle diverse Zone, l’Italia trova il colosso Australia da contrastare, per fortuna, sulla terra rossa del Foro Italico di Roma. Gli azzurri hanno davanti il tre volte campione di Wimbledon, John Newcombe, che però non è più il giocatore brillante di qualche anno prima. Il vero osso duro si rivela infatti John Alexander, che vince entrambi i singolari, superando prima Panatta, in tre set, e poi Barazzutti al quinto. Newcombe finisce per rivelarsi l’anello debole della catena, perdendo prima il match di esordio contro Corrado per 7-6, 6-1, 6-4, poi il doppio e il singolare decisivo contro Panatta. La vittoria più importante della tre giorni di Davis è certamente quella di Panatta e Bertolucci nel doppio: la quotata coppia australiana viene dominata dagli azzurri che si impongono con un perentorio 6-3, 6-4, 6-3. «Battere in casa Newcombe e Roche, cinque volte campioni a Wimbledon, i miei idoli, fu il massimo» racconta Bertolucci a Sky Sport. «Sì, come premio partita chiesi un piatto di pasta e fagioli. E Belardinelli me l’accordò. Sapeva quanto fosse fondamentale per me, ogni tanto, infrangere qualche regola alimentare». Nel match decisivo Panatta supera Newcombe in quattro set e porta l’Italia in finale.

Nell’altra semifinale la Russia lascia strada al Cile senza giocare. Dietro ci sono motivi politici, gli stessi che rischiano di far saltare la finale con l’Italia, a Santiago, che si tiene dal 17 al 19 dicembre 1976 all’Estadio Nacional de Cile. Le vicende politiche legate a questa finale sono state spesso ripercorse e approfondite, quindi non mi soffermerò eccessivamente su questo aspetto della vicenda, se non per restituire il clima che ruotava intorno a Panatta e compagni prima della partenza. Esponenti del Partito Comunista e del Partito Socialista, infatti, nei giorni precedenti spingono affinché l’incontro con i cileni non si disputi. L’obiettivo è di manifestare il dissenso nei confronti della dittatura del Generale Pinochet, che ha deposto con la forza il socialista Allende. Capitan Pietrangeli e tutta la squadra azzurra vogliono partire ugualmente. Sanno che è una grande occasione per l’Italia del tennis e non hanno intenzione di perderla. Comincia una campagna di disinformazione che getta lui e la squadra in un tritacarne mediatico: vengono accusati addirittura di essere pro-Pinochet. Ma Panatta non ci sta e, come riportato da Giorgio Dell’Arti, a fine settembre dichiara: «Facciamo una protesta unitaria contro il Cile a livello mondiale e la cosa mi va bene. In caso contrario è troppo facile lasciare sulle spalle di quattro giocatori il peso della decisione». Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli resistono alle pressioni. Il capitano, Nicola Pietrangeli, lotta in ogni contesto perché la squadra vada a giocare questa finale. Combatte contro tutto e tutti per partire, respinge gli attacchi da destra, da sinistra, dal centro. Crede che lo sport non debba farsi coinvolgere in questioni politiche, che debba restare al di sopra delle parti. Alla fine si ammorbidisce l’iniziale linea intransigente della politica e i ragazzi partono per il Cile. Ma in Italia il clima resta pesante. Addirittura c’è chi scende in piazza al grido di “Non si giocano volée con il boia Pinochet”.

Il 17 dicembre gli azzurri fanno il loro esordio sulla terra battuta dell’Estadio Nacional: il primo incontro vede di fronte Barazzutti e il numero uno cileno James Fillol. Corrado lo supera in quattro set, con il punteggio di 7-5, 4-6, 7-5, 6-1, portando il primo punto all’Italia.Il secondo singolare è senza storia: Panatta liquida facilmente Patricio Cornejo con il punteggio di 6-3, 6-1, 6-3. Il punto più difficile è certamente il doppio, perché la coppia Cornejo-Fillol è forte e collaudata. In quell’occasione Panatta vuole lanciare una provocazione: il colore rosso rappresenta l’opposizione, quella che porta nel cuore il presidente Salvador Allende, ucciso nel colpo di stato, e migliaia di desaparecidos, così Adriano vuole scendere in campo con la maglietta rossa. Racconta Bertolucci a Sky Sport a proposito dello scambio di idee con Panatta il giorno prima dell’incontro: «Va bene Adriano, pur di vincere questo doppio domani scendo in campo anche nudo, ma siccome non sarebbe un bello spettacolo, giocheremo con la maglia rossa. Ma sappi che se per caso andiamo al quarto set, all’intervallo ci cambiamo e decido io con quale maglietta rientriamo in campo. E lui: “Vabbè…”, e finalmente mi lasciò in pace. Il giorno dopo entrammo in campo con la maglietta rossa. Ma sul 2-1 per noi, negli spogliatoi, andai a ricordagli il nostro patto: “Adriano! Blu!” E lui non fece una piega». Panatta e Bertolucci si confermano una coppia forte e affiatata: battono in quattro set i cileni, con il punteggio di 3-6, 6-2, 6-3, 9-7, e regalano all’Italia una storica vittoria. Gli azzurri si perdono in un caloroso abbraccio al centro del campo, insieme a Nicola Pietrangeli e Mario Belardinelli che con il loro supporto vi hanno contribuito. Anche il pubblico cileno applaude. Nonostante il successo, al rientro in patria all’aeroporto di Fiumicino l’accoglienza è tiepida. Pietrangeli ricorda una decina di persone, per lo più addetti dello scalo, e un paio di fotografi. L’Italia del tennis ha comunque compiuto una grande impresa, conquistando meritatamente la sua prima e, a oggi, ultima Coppa Davis. Fortunatamente negli anni la storia ha smussato le polemiche politiche che inizialmente avevano offuscato quel trionfo, mettendo in primo piano l’impresa sportiva e il valore di quella squadra. Un team da sogno di cui ancora oggi andiamo orgogliosi.

Internazionali d’Italia 1955: la drammatica finale fra Fausto Gardini e Beppe Merlo

Fausto Gardini

Nei primi anni Cinquanta il tennis italiano maschile vede imporsi due giocatori molto diversi fra loro: Fausto Gardini e Giuseppe Merlo, detto Beppe. Gardini: tecnica non eccelsa, ma grande solidità fisica e mentale che gli permette di competere ad alti livelli e di togliersi parecchie soddisfazioni. Quando entra in campo ha un solo imperativo: vincere! Ha grinta da vendere, un dritto letale e un ottimo servizio, ma la tecnica è un dettaglio trascurabile, l’importante è raggiungere l’obiettivo con tutti i mezzi possibili. Possiede un carisma contagioso, che lo porta a diventare l’idolo del pubblico, riuscendo ad avvicinare al tennis tantissime persone. «Era un tennista che il pubblico seguiva con passione» ricorda Pietrangeli nel libro C’era una volta il tennis. «Fausto ebbe il merito di rendere popolare il nostro sport. Lo avvicinò al calcio. La gente combatteva al suo fianco. In uno sport fatto di silenzi e di gesti bianchi lui sembrava un direttore d’orchestra: esigeva il silenzio. Chiedeva l’applauso! La gente obbediva. Fausto è stato un caso unico e irripetibile nella storia del nostro sport. Era un campione che trascinava. Vederlo giocare era meglio che andare al cinema. Non è vero, come vuole la leggenda, che ogni palla venisse rubata agli avversari. Fausto aveva inventato un suo modo di orchestrare i match. Spaventava i giudici di linea. Dominava psicologicamente gli avversari».Gardini si impone nei campionati italiani per cinque anni consecutivi e nel 1952 trascina la squadra di Davis, insieme a Cucelli e ai fratelli Del Bello, prima alla vittoria della Zona Europea e poi a una finale interzone che però vede vittoriosi gli Stati Uniti sull’erba di Sydney.

Beppe Merlo
Beppe Merlo

Il rivale storico di Gardini è Beppe Merlo, dotato di un efficace rovescio a due mani e di solidità fisica. Non possiede un servizio potente, ma in compenso riesce a piazzarlo molto bene, gioca d’anticipo e ha tocco di palla. E poi colpisce di dritto con una originale impugnatura a metà manico. In campo Merlo è corretto oltre ogni limite, a costo di danneggiare se stesso. «Beppe non rubò mai un punto su un campo da tennis – ricorda ancora Pietrangeli in C’era una volta il tennisAndava addirittura contro il giudizio degli arbitri. Giocando con Remy, campione di Francia, sul Centrale di Roland Garros, al quinto set corresse il giudice di sedia e regalò il quindici che mandò il francese a servire per il match. Fino a quel momento aveva avuto tutto il pubblico contro. Quando Beppe vinse venne giù lo stadio». Per quattro volte vince i campionati assoluti italiani, ma numerosissimi sono i trionfi a livello internazionale, dalla Germania a Bombay, sia in singolare che in doppio. Tra lui e Gardini inizialmente non corre buon sangue: solo nel 1962, grazie a una trasferta in California voluta dalla Federazione, diventeranno buoni amici. All’inizio sono soltanto rivali, entrambi molto forti sulla terra rossa. Ne danno dimostrazione quando raggiungono la finale degli Internazionali d’Italia nel 1955, dopo aver liquidato con autorità i rispettivi avversari. La sfida decisiva si trasforma in un incontro memorabile che sul finale prende una piega drammatica. Ma partiamo dall’inizio. Facendo leva sul suo temibile dritto, nel primo set Gardini si impone con un netto 6-1. Nel secondo gli scambi si allungano, Merlo comincia a sbagliare sempre di meno e alla fine prende il largo, aggiudicandosi il set con il medesimo punteggio con cui il suo rivale aveva vinto il primo. Sul risultato di parità, nel terzo comincia a salire la tensione sia sul campo che tra il pubblico: un Merlo in grande spolvero si porta sul punteggio di 3-0 e Gardini comincia a perdere le staffe. Nel quarto game Fausto protesta perché Beppe, che d’abitudine dopo il servizio lascia cadere la palla per avere la mano libera ed eseguire così il rovescio bimane, nel compiere quel gesto lo ha distratto. L’arbitro fa ripetere il punto e Merlo commette doppio fallo. Nonostante il tentativo da parte di Gardini di destabilizzare il suo rivale, Beppe porta a casa il terzo set, dopo un’ora di gioco, con il punteggio di 6-3. In quel momento ha inizio la parte più drammatica del match: «Dopo il terzo set c’è il riposo. Per raggiungere gli spogliatoi Merlo viene portato addirittura a braccia – racconta Ubaldo Scannagatta su Ubitennis.com Gardini, gli occhi spiritati nel volto ancor più ossuto, non pensa minimamente a mollare. Digrignando i denti, anzi, si rivolge ad arbitro e dirigenti FIT: ‘Guardate l’orologio! Dieci minuti, non di più… attenzione!’ ha l’aria di minacciare. Intanto Merlo, su una panca, piange. […] Il melodramma continua alla ripresa del gioco. Merlo rientra in campo addirittura sorretto da due infermieri”.

Fausto Gardini

Il quarto set viaggia in perfetto equilibrio, a suon di break e controbreak, tra errori arbitrali e contestazioni. Nonostante le condizioni fisiche precarie di Merlo e il nervosismo di Gardini, tra i due è battaglia vera, così si arriva sul 6-5 per Beppe. Nel dodicesimo gioco va in scena il momento più drammatico del match, sotto gli occhi dei fotografi e di un pubblico ormai incandescente: «Merlo ha due match point, ma quando Gardini gli annulla il primo crolla a terra vittima dei crampi alle gambe» racconta il giornalista Giorgio Bellani su «Stampa Sera» dell’11 maggio 1955, come riportato da Giorgio Dell’Arti. «Rialzatosi a fatica, Merlo cade nuovamente dopo che Gardini gli annulla il secondo match point (stavolta è pure vittima di una crisi di nervi). Di nuovo in piedi, Merlo riesce a procurarsi un terzo match point[…]”. Intanto Gardini, dopo la seconda caduta di Merlo, va su tutte le furie. Pensa che sia una sceneggiata e gli spettatori sono con lui. Quando poi Fausto annulla anche il terzo match point e Beppe crolla nuovamente a terra, il pubblico fischia inferocito. A quel punto Merlo si ritira, lasciando la vittoria a Gardini. Come racconta Pietrangeli a Lea Pericoli, il match finisce in «un’orrenda gazzarra»dai risvolti tragici: «Era l’imbrunire e dovette intervenire la forza pubblica per calmare gli animi del pubblico impazzito che lanciava in campo giornali incendiati. Ormai era buio. Da una parte c’era Beppe sdraiato per terra con i crampi. Dall’altra Fausto che tirava giù la rete urlando: Ho vinto! Ho vinto!»  A Merlo sfugge così la possibilità di conquistare gli Internazionali d’Italia, mentre Gardini si sposa e al termine di quell’annata positiva decide di abbandonare l’attività agonistica ad appena venticinque anni, per poi riprendere nel 1960. Ma al suo rientro non potrà fare molto: il protagonista assoluto è ormai un certo Nicola Pietrangeli.

La rivincita di Tonino Zugarelli

Tonino Zugarelli

Antonio Zugarelli, detto Tonino o Zuga, è l’uomo con i baffi dell’Italia che porta a casa la Coppa Davis nel 1976. Per molti è la riserva del team, che vede in prima linea Adriano Panatta, Corrado Barazzutti e Paolo Bertolucci, ma il suo contributo risulta fondamentale nella vittoria contro la Gran Bretagna sull’erba di Wimbledon, nella finale della Zona Europea che dava accesso alla fase decisiva del torneo, dove Zuga è certamente più a proprio agio rispetto al titolare, Corrado Barazzutti. Se in quella sfida non avesse battuto Roger Taylor, giocando un ottimo tennis e vincendo in quattro set con il punteggio di 6-1, 7-5, 3-6, 6-1, probabilmente l’Italia non sarebbe arrivata alla finale di Santiago del Cile. Un giocatore d’attacco, Tonino, che da sempre rivendica la sua origine popolare, di ragazzo di strada, di quelli che pulivano i campi e le righe per i signori ricchi. Proprio per strada, da bambino, perde la falange del pollice della mano destra, ma ciò non gli impedisce di diventare un grande giocatore. «Il tennis è stato il modo migliore che ho trovato per farmi accettare. Mi ha dato un posto nel mondo» racconta Zuga nella sua autobiografia, Il riscatto di un ultimo.

L’Italia del 1976 con la Coppa Davis. Da sinistra: Adriano Panatta, Tonino Zugarelli, Nicola Pietrangeli, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci.

Ormai leggendario il suo rapporto tormentato con Pietrangeli nel periodo in cui Nicola è capitano della squadra. Un’incompatibilità che li porta spesso a scontrarsi, anche in maniera accesa. Zugarelli cerca dal tennis un riscatto sociale, vuole la stessa considerazione riservata ai suoi compagni di Davis, ma sembra che Pietrangeli lo tratti come la riserva, il rimpiazzo, e questa cosa non gli va giù. Poi Tonino è uno di pancia, sincero, che le cose le dice a brutto muso. E questo non aiuta il loro rapporto. Zugarelli contribuisce alla vittoria della Davis, ma poco dopo arriva il momento difficile: i primi mesi del 1977 la depressione lo bracca, lo immobilizza, lo tormenta, e lui prova a superarla sul campo di allenamento con l’aiuto di Mario Belardinelli. Ci riesce, riparte e va a giocare sulla terra rossa del Foro Italico gli Internazionali d’Italia. Il primo turno è difficile non tanto per il valore del suo avversario, il connazionale Roberto Lombardi, quanto per l’ansia e le paure che ancora lo attanagliano e che credeva di aver superato. La partita passa in secondo piano, Zugarelli vola altrove con la mente: durante il match pensa al ritiro, alla sua vita senza il tennis. Poi accade che, mentre è inghiottito da un buco nero, Lombardi perda le staffe per una chiamata del giudice di sedia, addirittura gli viene inflitto un punto di penalità. Improvvisamente Zuga risorge dalle ceneri, quasi che la scenata del suo avversario l’abbia svegliato dal torpore, riportandolo sul campo del Foro Italico. Magicamente spariscono le angosce e le paure, scompaiono per sempre. Vince il match e non si ferma più fino alla finale: batte prima lo jugoslavo Željko Franulović in tre set che terminano 6-1, 1-6, 6-0. Nel turno successivo liquida con due tie break il paraguaiano Victor Pecci. In semifinale affronta l’australiano Phil Dent che supera in quattro set con il punteggio 6-4, 5-7, 6-4, 6-2. Nel corso dell’incontro, durante il suo turno di servizio avverte un dolore alla spalla. Il panico. Il giorno dopo prende una fiala di cortisone e novocaina e scende in campo per una storica finale contro il numero uno del mondo, l’americano Vitas Gerulaitis. Zugarelli ha paura di spingere, così perde i primi due set 6-2, 7-6. Poi pensa che non può lasciare sfumare questa grande occasione senza nemmeno accennare una reazione. Decide di dare fondo a tutte le energie che possiede e vince il terzo set 3-6. Nel quarto arriva a giocare il tie break: sul set point per l’italiano una sua volée balla per una frazione di secondo sul nastro e cade nel campo di Zuga. Gerulaitis chiude il conto a proprio favore e si aggiudica gli Internazionali d’Italia. «Quel set per me fu decisivo: se fosse andato diversamente, non esito a dire che avrebbe potuto cambiare la mia carriera di tennista» racconta Tonino nella sua autobiografia. Resta comunque una grande impresa quella di Zugarelli, anche perché maturata in un periodo di profonda crisi. Appena sei giorni prima sembrava dovesse chiudere con il tennis, che la depressione avesse vinto. E invece Tonino dimostra ancora una volta che nel tennis, come nella vita, c’è sempre un’altra possibilità.

Recensione di “Gioco Partita incontro”

Grazie a Simone Morichini per la bella recensione del mio libro “Gioco Partita Incontro – Le imprese dei campioni di tennis italiani da Nicola Pietrangeli a Flavia Pennetta” su OAsport.

“Si tratta di una vera e propria carrellata degli azzurri del tennis, una particolare “antologia” che parte da pionieri come Giorgio De Stefani e Uberto De Morpurgo in campo maschile e Lucia Valerio nel settore femminile”.

Per leggere la recensione, cliccare sull’immagine.

Il Corriere dello Sport consiglia “Gioco, partita, incontro”

Il Corriere dello Sport online consiglia la lettura del mio nuovo libro, “Gioco, partita, incontro. Le imprese dei campioni di tennis italiani da Nicola Pietrangeli a Flavia Pennetta” (Imprimatur): “Un viaggio nel tennis italiano, dalla finale al Roland Garros persa da Giorgio De Stefani nel 1932 al trionfi di Flavia Pennetta all’Open degli Stati Uniti, passando per Pietrangeli, Panatta, la Schiavone, le Cichis […]. Ad impreziosire il libro, due interviste: a Paolo Canè – che si propone come capitano di Davis – e a Raffaella Reggi“. (Clicca sull’immagine per leggere l’articolo).

 

Dal 29 giugno in libreria “GIOCO, PARTITA, INCONTRO”

Dal 29 giugno in libreria il mio GIOCO, PARTITA, INCONTROLe imprese dei campioni di tennis italiani da Nicola Pietrangeli a Flavia Pennetta (Imprimatur).

Il tennis l’ha inventato il diavolo.
È uno sport micidiale, sei da solo per ore e nessuno può aiutarti.
Adriano Panatta

Le memorabili imprese del tennis italiano, maschile e femminile, raccontate in un unico volume. La grandezza di Nicola Pietrangeli, le sue epiche vittorie al Roland Garros e i record in doppio con Orlando Sirola. Il talento straordinario di Adriano Panatta e quel magico 1976, che lo vide trionfare agli Internazionali d’Italia e a Parigi. La conquista della Coppa Davis in Cile e i protagonisti di quell’impresa: Panatta, Barazzutti, Bertolucci, Zugarelli. I match indimenticabili di Paolo Canè e Omar Camporese in Coppa Davis nei primi anni Novanta. La storia di Andrea Gaudenzi, il campione sfortunato che vide sfumare il sogno di riportare in Italia “l’insalatiera”. E poi ancora la dedizione di Renzo Furlan e le prestigiose vittorie nel circuito, la storica semifinale di Filippo Volandri agli Internazionali d’Italia, maturata dopo aver battuto il numero uno del mondo Roger Federer, fino all’ascesa di Fabio Fognini.
La seconda parte del libro è dedicata al tennis italiano femminile: dagli anni di Lea Pericoli e di Silvana Lazzarino, soprannominate rispettivamente “La Divina” e “Minnie”, passando per la passione e le vittorie di Raffaella Reggi e Sandra Cecchini, fino all’esplosione della “leonessa” Francesca Schiavone, che culmina con il trionfo al Roland Garros. Poi l’ascesa di Roberta Vinci e di Sara Errani, che ben presto diventano le Cichis, le numero uno nel doppio femminile, capaci di centrare il Career Grand Slam. E ancora la straordinaria carriera di Flavia Pennetta e la vittoria agli US Open, i leggendari trionfi della squadra di Fed Cup e uno sguardo al presente e al futuro del tennis italiano. Il testo è arricchito dalle testimonianze inedite di due campioni come Raffaella Reggi e Paolo Canè.