“Mi considerano un rompicoglioni perché dico sempre ciò che penso” – Intervista a Ernesto Bassignano

Copertina Il grande Bax!
Copertina de ‘Il grande Bax’

Da quarant’anni cantautore e operatore culturale, giornalista e produttore musicale. Ernesto Bassignano è stato uno di quei “quattro ragazzi con la chitarra e un pianoforte sulla spalla” che, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, hanno fatto la storia dell’indimenticabile Folkstudio, fucina di talenti romani e non solo. Ma è anche il fine intrattenitore che ha condotto per undici anni la trasmissione radiofonica Ho perso il trend, sulle frequenze di Radio 1 Rai, arrivando a conquistare mezzo milione di ascoltatori ogni giorno. Mesi fa, a tre anni dal suo precedente lavoro, Bassignano ha pubblicato l’album Il grande Bax!, prodotto da Mauro D’Angelo per l’etichetta Atmosfera. Un disco composto da nove brani d’autore, otto firmati dall’artista romano e uno scritto nel 1968 dal cantautore Duilio del Prete, scomparso ormai da 20 anni. Alcuni introspettivi e nostalgici, come Chi sono davvero, altri che raccontano con arguzia il nostro tempo senza rinunciare alla poesia, come Davanti a uno schermo e Gente di passaggio. Un album da sfogliare alla stregua di un libro fotografico, canzoni come istantanee di quarant’anni di vita e di arte.

Ernesto, sieti rimasti in pochi a far dischi di questo spessore poetico.
È vero, siamo rimasti in pochi. Quello che però mi fa incazzare da morire è che, nonostante le recensioni positive che il disco ha ricevuto, continuano a non invitarmi al Premio Tenco.

Come te lo spieghi?
Prima di tutto pago il fatto di essere considerato un giornalista che canta. Il problema poi è che io sono un ex funzionario del PCI e questo va a mio sfavore. Oltretutto non sono un anarchico, non ho mai fatto parlare il manager al mio posto, anzi, ci ho messo sempre la faccia. Per di più mi considerano un rompicoglioni perché dico sempre ciò che penso.

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Un fatto che raccontano in pochi è che tu hai collaborato per tanti anni con un grande artista come Umberto Bindi.
Sì, ho scritto molte canzoni per lui. Quattro brani firmati da me sono nel disco Di coraggio non si muore, uscito nel 1996 per l’etichetta Fonopoli di Renato Zero. Per l’occasione scrissi anche un libro su di lui insieme a un mio amico che fa lo storico della canzone. Sia il libro che il disco non ricevettero una promozione adeguata. Renato poi volle portare Umberto al Festival di Sanremo insieme ai New Trolls, presentando il brano Letti. Il connubio non fu un granché. Quel brano avrebbe dovuto cantarlo per intero Bindi seduto al pianoforte, e invece Renato spinse per far entrare nella partita anche i New Trolls e il pezzo perse di efficacia. Comunque sono contento di aver collaborato per undici anni con Umberto.

Una persona non sempre rispettata nell’ambiente musicale, che ha sofferto tantissimo.
Perché era il più bravo di tutti. Secondo me Il nostro concerto, Arrivederci, La musica è finita e Il mio mondo sono le quattro canzoni più importanti della musica italiana. La sua è stata una perdita colossale per la musica, per la cultura e anche per me che gli volevo bene.

Parliamo del Folkstudio. Hai nostalgia di quegli anni?
Mi sembra di aver sognato. Un sogno fatto di fumo, di corridoi bui, di sangria. Un mondo straordinario in un’epoca rivoluzionaria. Entravano e uscivano artisti del calibro di Gato Barbieri, Mariangela Melato, Gian Maria Volontè, Elio Petri. Poi c’eravamo io, Antonello Venditti, Francesco De Gregori e Giorgio Lo Cascio. Fino al 1972 è stato bellissimo, poi loro hanno cominciato a fare dischi e io invece ho continuato a suonare alle Feste dell’Unità fino al 1976, guadagnando anche più dei miei colleghi, lo devo ammettere.

Avete scelto strade diverse.
Sì, io scrivevo canzoni di lotta e le pubblicavo con la Ariston. Quando provai a entrare nel 1975 alla RCA con Moby Dick, prodotto da Rino Gaetano, purtroppo l’album venne male. Mentre veniva eseguito il missaggio del disco, infatti, io ero in campagna elettorale e Rino era sdraiato in un campo con le sue birre disperate. Ecco perché Moby Dick non ebbe la risonanza che meritava. E così divenne una sorta di canto del cigno. La verità è che io preferivo stare in giro, in mezzo alla gente. Avevo scelto la canzone politica come ‘fucile’. Mi accorsi che era tutto finito quando Berlinguer mi prese da parte, dicendomi che i Soviet in Italia non sarebbero arrivati mai e che forse avrei dovuto pensare di più alla mia carriera artistica. Ma ormai era troppo tardi. Un’epoca era alla fine: il PCI stava cambiando pelle. L’errore fu pensare che l’Italia diventasse rossa.

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Quanto gli artisti di Cantacronache influenzarono la tua scrittura musicale?
All’inizio sono stato molto ispirato da loro. Io sono venuto da Cuneo con Duilio del Prete, quindi figurati. Amavo il mondo di Straniero, Bosio, Liberovici, Portelli, e io volevo essere un prosecutore del Cantacronache, che purtroppo nel frattempo era morto. Dalle sue ceneri erano nati Il Canzoniere Internazionale di Settimelli e il Nuovo Canzoniere Italiano di Giovanna Marini, Ivan Della Mea e Paolo Pietrangeli. Io in quegli anni mi ponevo a metà strada tra la canzone d’autore e quella di lotta. Ero un ‘tenchiano’: volevo una canzone poetica, lirica, ma impegnata. Venni sconfitto: da una parte era venuto fuori l’ermetismo di De Gregori, dall’altra c’era il pop. Una canzone ‘alla Tenco’ non c’era stata più. Io ero a metà tra la lotta e la canzone d’autore.

Hai qualche rimpianto?
Questa è una domanda terribile. Io vivo di rimpianti, mia moglie e i miei amici mi rimproverano molto per questo, dovrei guardare al futuro e fregarmene di tanta merda che mi hanno fatto mangiare. Comunque il rimpianto più grande è di non aver capito un po’ prima quello che stava succedendo. Ho fatto il militante ferreo fino alla fine e questo è stato sbagliato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capodanno 2016 in piazza con Caparezza, Negramaro, Capossela, De Gregori, Subsonica, Elio, Arbore

Anche quest’anno, nella notte di San Silvestro, la musica sarà regina nelle piazze italiane con decine di concerti gratuiti. Una

Vinicio Capossela e la Banda della Posta
Vinicio Capossela e la Banda della Posta

proposta ampissima che andrà dal pop al jazz, dal rock alla musica popolare. Da Milano a Ragusa, passando per la Sardegna

Vi propongo un mio articolo-guida, uscito ieri su Il Fatto Quotidiano (web), che illustra i principali appuntamenti musicali nelle piazze italiane.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12/30/capodanno-2016-in-piazza-con-caparezza-negramaro-capossela-de-gregori-subsonica-elio-arbore/2340718/

 

Capodanno in piazza: dai Subsonica a Francesco De Gregori

de GregoriSubsonica, Alessandro Mannarino, Francesco De Gregori, Roy Paci…e potrei riempire la pagina solo con i nomi di tutti gli artisti che suoneranno la notte di Capodanno nelle piazze italiane. In questo mio articolo per Il Fatto Quotidiano.it ho sintetizzato i principali appuntamenti musicali di San Silvestro. Ovviamente, per questioni di spazio, non ho potuto inserire anche gli eventi, altrettanto importanti, in città e paesi più piccoli.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12/30/capodanno-in-piazza-milano-napoli-gigi-dalessio-subsonica-de-gregori/1302852/

 

Esce oggi “Il tempo della musica ribelle – Da Cantacronache ai grandi cantautori italiani”

Esce oggi “Il tempo della musica ribelle – Da

Copertina libro "Il tempo della musica ribelle - Da Cantacronache ai grandi cantautori italiani"
Copertina libro “Il tempo della musica ribelle – Da Cantacronache ai grandi cantautori italiani”

Cantacronache ai grandi cantautori italiani” (Nuovi Equilibri/Stampa Alternativa), la mia seconda “fatica” che racconta l’evoluzione della canzone sociale e di protesta dal dopoguerra a oggi.

Di seguito la sinossi:

Siamo nel dopoguerra. L’Italia usciva a pezzi dal secondo conflitto mondiale. La popolazione voleva evadere dai problemi reali con un intrattenimento condito di leggerezza. In campo musicale, nel 1951 partiva il Festival di Sanremo: nasceva un tipo di canzone leggera, improntata principalmente sul tema dell’amore. Ma intanto, nella Torino degli anni Cinquanta, un gruppo di musicisti – oltre a dedicarsi allo studio del canto sociale – lavorava a un modello di canzone diversa, che raccontasse la realtà circostante. Nasceva così, nel 1958, Cantacronache, da un’idea dei musicisti Michele L. Straniero e Sergio Liberovici. In seguito il baricentro si sposta su Milano con la nascita del Nuovo

Canzoniere Italiano, gruppo in cui confluirono, dal ‘62 in poi, i membri del gruppo torinese e musicisti di diverse parti d’Italia: Giovanna Marini e Paolo Pietrangeli da Roma, Gualtiero Bertelli da Venezia, Ivan Della Mea da Milano, la mondina Giovanna Daffini, Caterina Bueno dalla Toscana. Al Folkstudio di Roma avverrà l’incontro tra Giovanna Marini e Ivan Della Mea, appartenenti all’ala più intransigente della canzone sociale, con un giovanissimo Francesco De Gregori e altri musicisti della nuova generazione dei cantautori. Si raccontano i sodalizi artistici, i contrasti e le chiusure nei rapporti tra i protagonisti del Nuovo Canzoniere Italiano e quelli che diventeranno i più grandi cantautori italiani. Si analizza infine quanto è successo dal 1980 in poi, ovvero dopo la fine del Nuovo Canzoniere Italiano, con il contributo dell’Istituto Ernesto de Martino, ancora oggi punto di riferimento per lo studio, la ricerca, la raccolta nell’ambito del canto sociale.

La parola a Paolo Pietrangeli, Eugenio Finardi, Giovanna Marini, Gualtiero Bertelli, Alessandro Portelli, Claudio Lolli, Michele Maisano, Andrea Satta, Marino Severini, Alessio Lega.