Syd Barrett, il diamante pazzo che smise di brillare

Su Syd Barrett, il fondatore e primo leader dei Pink Floyd, si è scritto e detto tanto negli ultimi cinquant’anni. Numerosi gli aneddoti sui suoi problemi psichici, tanto che intorno alla sua salute mentale sono nate leggende che hanno spesso messo in ombra il suo pur breve percorso musicale nei Pink Floyd. Una storia, quella di Syd, che è molto più drammatica che romantica, figlia di un profondo disagio. A questo proposito fu proprio David Gilmour a esprimere il suo disappunto al giornalista David Fricke in un’intervista apparsa su Rolling Stone nel 1982: il chitarrista affermava che quella di Barret era «una storia triste, che viene romanzata da persone che non ne sanno nulla. L’hanno resa affascinante, ma non è affatto così». Chi meglio di Gilmour poteva parlarne? Lui che era stato suo compagno di scuola e nel 1968 lo aveva sostituito nelle file dei Pink Floyd, quando ormai la caduta libera di Syd verso la follia era iniziata e la sua inaffidabilità aveva reso la permanenza nel gruppo impossibile da sostenere. I suoi compagni avevano deciso di scaricarlo con un gesto che ebbe poco di epico: semplicemente non lo passarono più a prendere a casa. Per molti era cominciata la leggenda di Barrett, per gli amici più prossimi, invece, era in atto il deterioramento irreversibile della sua condizione psichica. Molti l’avevano attribuito principalmente al consumo di LSD, trascurando l’ipotesi che la sostanza aveva semplicemente accelerato la caduta libera. A questo proposito fu proprio Gilmour a spiegare sempre a David Fricke il tracollo di Syd: «L’esperienza psichedelica può aver agito da catalizzatore. Ma credo che non riuscisse a gestire l’idea del successo e tutte le cose che comportava».

Un’immagine dei Pink Floyd nel periodo di transizione tra l’ingresso di David Gilmour (in alto a sinistra) e l’uscita di Syd Barrett (in alto a destra)

David non lo aveva abbandonato: nonostante Barrett fosse ormai fuori controllo, lui e Roger Waters lo aiutarono a realizzare due album da solista, The Madcap Laughs e Barrett, entrambi usciti nel 1970. Ma mentre il primo lavoro ricevette un buon riscontro dal pubblico e dalla critica, il secondo passò quasi inosservato, certamente anche per colpa di Barrett che non si impegnò minimamente per promuoverlo. La sua mente era ormai piena di ombre, momenti di assenza e di distacco dalla realtà. Nell’autunno del 1971 rilasciò la sua ultima intervista a Mick Rock, per Rolling Stone, nel giardino della casa di famiglia a Cambridge. In quell’occasione fu molto freddo nei confronti dei membri dei Pink Floyd, vecchi e nuovi: «Non ho niente a che fare con loro. A parte il fatto che hanno prodotto i miei dischi, il che è stato molto utile». Fu molto severo poi nel giudicare i suoi lavori da solista: «Ho fatto tre album e due non sono stati molto interessanti. Gli ultimi due sono stati così polverosi. E così inutili. Cosa puoi farci? Mi piacerebbe rimettere le cose a posto». Ma dal resto dell’intervista traspare un sentimento di rinuncia. Quando Rock gli chiese se non sentisse il bisogno di produrre nuovi pezzi, uno sconsolato Barrett lasciò intendere di essere stato scaricato dai discografici: «Lo faccio. Ma non mi è richiesto. Per cui non sento che c’è un motivo per continuare». Ecco perché Syd decise di tornare a Cambridge, rinchiudendosi nel seminterrato di casa di sua madre, nella solitudine più profonda. Prima di tutto si riappropriò del suo nome, tornando a essere Roger Barrett, ragazzo di venticinque anni. Un passo verso le certezze dell’infanzia, con l’abbraccio delle mura domestiche che l’avevano visto crescere e da cui, affacciandosi, poteva ancora scorgere la scuola che aveva frequentato da bambino. A Cambridge trascorreva tante ore a letto, circondato dai suoi quadri, dai dischi, dagli amplificatori e le chitarre che suonava sempre meno. Durante l’intervista si lasciò andare anche a considerazioni legate alla sfera sentimentale, ai suoi amori passati ma anche al proposito di sposarsi e avere dei bambini.

Syd Barrett il 5 giugno 1975

Negli anni che seguirono Barrett tornò a vivere a Londra, ma nel completo anonimato. Uno dei più noti avvistamenti risale al 5 giugno del 1975, quando un uomo sovrappeso e rasato a zero varcò la soglia degli studi dove i Pink Floyd stavano incidendo l’album Wish You Were Here. Quell’uomo irriconoscibile era proprio Syd Barrett. Tutti i componenti della band rimasero di stucco, traumatizzati dalla visione di quel ragazzo di appena 29 anni che sembrava un vecchio. «Scioccante è la parola giusta» raccontò Nick Mason, il batterista dei Pink Floyd, a proposito di quell’incontro.  «Io stavo lavorando in studio e quando sono entrato nella sala di regia ho trovato questo strano ed enorme ragazzo. Non l’avevo riconosciuto. È dovuto intervenire David che mi ha detto ‘Nick, non sai chi è questo ragazzo? È Syd’. A quel punto lo riconobbi ma non so come spiegare, è stato davvero scioccante».

Nei primi anni Ottanta finì definitivamente il periodo londinese di Barrett e la casa di Cambridge divenne la sua dimora stabile, condivisa con sua madre. Con molta frequenza capitava che i fan si recassero in città sulle tracce del loro beniamino, nonostante la famiglia cercasse sempre di proteggerlo, ricorrendo anche ad appelli pubblici con i quali invitarono i fan e i giornalisti a lasciarlo in pace. Ma proprio alcuni giornalisti uscirono a stanarlo per brevi e fugaci attimi, anche utilizzando stratagemmi poco professionali. Gli ultimi a parlarci, nel 1982, furono due reporter francesi che scrivevano per la rivista Actuel: si presentarono di fronte la casa di Cambridge e, con la scusa di restituirgli un borsone di suoi vestiti ottenuti dall’agente immobiliare che gestiva la casa londinese dove Barrett aveva soggiornato fino a poco tempo prima, suonarono al suo campanello. Syd gli aprì la porta, ma loro non si qualificarono come giornalisti. Gli restituirono i vestiti e lui li ringraziò, non immaginando che quel momento sarebbe rimasto impresso nella storia.

«[…] Ma di cosa ti occupi adesso? Dipingi?» aveva approfittato per chiedergli uno dei due reporter.

«No, ho avuto un’operazione di recente, ma niente di grave. Volevo tornare là. Ma devo aspettare. Poi c’è anche uno sciopero dei treni» aveva risposto Syd, manifestando il proposito di tornare a Londra, ostacolato da uno sciopero dei treni, che però era terminato ormai da circa due settimane, come gli fece notare uno dei reporter francesi.

«Cosa fai nella tua casa di Londra? Suoni la chitarra?» aveva continuato a incalzarlo il giornalista.

«No, no, guardo la tv, tutto lì» aveva detto Syd con ingenuo candore.

«E non hai più voglia di suonare?» aveva insistito il giornalista.

«No. Non proprio. Non ho tempo per fare molte cose ora. E poi devo trovarmi un altro appartamento a Londra. Non è facile. Dovrò aspettare. Sai, non pensavo che avrei riavuto questi vestiti indietro. Non riuscivo a scrivere. E non riuscivo a decidermi ad andare a recuperarli. Prendere il treno e tutta quella roba. Già. Non ho neppure scritto a quelle persone. Mamma mi ha detto che li avrebbe chiamati dal suo ufficio. Comunque, grazie». Dalla risposta di Barrett emergeva una certa confusione. Poi il giornalista aveva continuato a fargli domande, portandogli anche i saluti dei suoi amici londinesi, ma Syd, dopo avergli concesso di scattare una foto insieme, non ne volle più sapere di chiacchierare. Si salutarono con il proposito di rivedersi a Londra, ma Barrett non sarebbe più tornato a vivere nella capitale del Regno Unito. Rimase infatti nella casa di Cambridge anche dopo la morte della madre.

Cambridge, 1982, Syd Barrett (a destra) con uno dei reporter francesi

A fungere da punto di contatto con la realtà fu la sorella Rosemary. Il suo passato musicale lo volle rimuovere: pare che ne parlasse con fastidio e addirittura preferiva che nessuno glielo rammentasse. Fino all’ultimo giorno della sua vita continuò a percepire le royalties dei brani scritti con i Pink Floyd, i cui membri si accertarono sempre che gli arrivasse il denaro che gli spettava. Sulla sua morte si sa poco: si spense nella sua casa di Cambridge a 60 anni, il 7 luglio del 2006, pare che fosse stato colpito da un tumore al pancreas e soffrisse anche di diabete di tipo 2. Il suo funerale si tenne il 18 luglio 2006 al Cambridge Crematorium e nessun membro dei Pink Floyd presenziò al rito di saluto. Nei giorni seguenti i media locali diffusero la notizia che Barrett aveva lasciato a fratelli e sorelle un’eredità che superava il milione e mezzo di sterline, la maggior parte accumulate grazie alle royalties derivanti dalle raccolte, studio e live, di brani dei Pink Floyd pubblicate nel corso degli anni che includevano anche brani a sua firma. Subito dopo la morte, gli oggetti che gli appartenevano vennero messi all’asta, biciclette, dipinti, chitarre, e il ricavato fu devoluto in beneficienza. 

Nel novembre del 2006 venne messa in vendita anche la sua casa di Cambridge, destando immediato interesse tra i fan, molti dei quali si finsero potenziali acquirenti solo per andarla a visitare. «A Roger piaceva molto la pace e la tranquillità della casa, sentire i bambini che giocavano in strada. Gli piaceva andare in bicicletta a fare la spesa» dichiarò sua sorella Rosemary, come riportato da Rockol. «Nella stanza che dava sulla strada disegnava e dipingeva, in quella sul retro si rilassava e ascoltava jazz». L’abitazione venne poi acquistata da una coppia francese, del tutto ignara di vivere nelle stanze del “diamante pazzo” dei Pink Floyd che troppo presto aveva smesso di brillare.