Coppa Davis 1976: il trionfo dell’Italia, tra polemiche e pressioni politiche

Partiamo da un fatto sportivo: nel 1976 la nazionale maschile di tennis vince la Coppa Davis, la massima competizione a squadre di questo sport, sul campo e con grandi meriti. Siamo nell’anno in cui Adriano Panatta raggiunge il pieno della maturità tennistica, affermandosi sia come leader indiscusso della squadra sia come campione a livello individuale con le vittorie agli Internazionali d’Italia e al Roland Garros. Al suo fianco ha colleghi di grande valore. Uno di questi è Paolo Bertolucci, figlio di un maestro di tennis e quindi nato con la racchetta nella culla. Grande talento, ma molto pigro e amante della buona cucina, che spicca per le sue doti di doppista. Poi c’è Corrado Barazzutti, giocatore molto solido dal punto di vista atletico, votato al sacrificio, che possiede una continuità invidiabile nel gioco e nei risultati. E infine Tonino Zugarelli, anche lui un ottimo atleta che riesce a esprimersi meglio sulle superfici veloci. Dopo la brutta sconfitta nell’edizione del 1975 contro una non irresistibile Francia, che costò il posto da capitano a Fausto Gardini, la guida della squadra viene presa da Nicola Pietrangeli, mentre Mario Belardinelli rimane a ricoprire il ruolo di direttore tecnico. Ed ecco arrivare nuove motivazioni e una maturità che probabilmente attendeva solo il momento giusto per esplodere.

Quell’anno l’Italia di Pietrangeli parte bene, battendo la Polonia e la Jugoslavia senza particolari patemi. Poi a luglio affrontano la Svezia di Bjorn Borg, fresco campione di Wimbledon. L’Italia gioca in casa, sui campi del Foro Italico, ma la sfida sulla carta è difficile. Finché non arriva il forfait di Borg per un leggero infortunio. Senza il loro campione, gli svedesi diventano facile preda di Panatta e compagni, i quali si qualificano così alla finale della Zona Europea, che li mette di fronte alla Gran Bretagna. La vera insidia non è costituita tanto dal valore avversario, quanto dalla superficie scelta dai padroni di casa, ovvero l’erba. I risultati e la tradizione sul manto verde non pendono certo dalla parte degli azzurri. Bisogna prendere quindi le contromisure: come singolarista viene schierato Zugarelli che, rispetto a Barazzutti, si sente maggiormente a proprio agio sull’erba. La mossa si rivela vincente: Tonino porta a casa il primo punto contro Roger Taylor, giocando un ottimo tennis e vincendo in quattro set con il punteggio di 6-1, 7-5, 3-6, 6-1. «Alla fine della partita ci fu un abbraccio collettivo» ricorda Zugarelli nell’autobiografia, Zuga – Il riscatto di un ultimo. «Scesero tutti in campo per festeggiare la vittoria, Belardinelli per primo. C’era un clima di entusiasmo, di emozione, un sentimento di unione e la consapevolezza di una squadra che sospettavamo potesse crescere ancora».Poi tocca a Panatta che deve affrontare John Lloyd nel secondo singolare: sulla scia dell’entusiasmo Adriano lo supera in cinque set. Il doppio non va benissimo: i solidissimi Panatta e Bertolucci cedono al quinto set dopo aver condotto per 2 set a 0. Ma ci pensa Adriano a chiudere la pratica battendo Roger Taylor in quattro set, seguito da Zugarelli che, a risultato ormai acquisito, porta a casa anche l’ultimo incontro.

Nella semifinale, in cui si incrociano i vincitori delle diverse Zone, l’Italia trova il colosso Australia da contrastare, per fortuna, sulla terra rossa del Foro Italico di Roma. Gli azzurri hanno davanti il tre volte campione di Wimbledon, John Newcombe, che però non è più il giocatore brillante di qualche anno prima. Il vero osso duro si rivela infatti John Alexander, che vince entrambi i singolari, superando prima Panatta, in tre set, e poi Barazzutti al quinto. Newcombe finisce per rivelarsi l’anello debole della catena, perdendo prima il match di esordio contro Corrado per 7-6, 6-1, 6-4, poi il doppio e il singolare decisivo contro Panatta. La vittoria più importante della tre giorni di Davis è certamente quella di Panatta e Bertolucci nel doppio: la quotata coppia australiana viene dominata dagli azzurri che si impongono con un perentorio 6-3, 6-4, 6-3. «Battere in casa Newcombe e Roche, cinque volte campioni a Wimbledon, i miei idoli, fu il massimo» racconta Bertolucci a Sky Sport. «Sì, come premio partita chiesi un piatto di pasta e fagioli. E Belardinelli me l’accordò. Sapeva quanto fosse fondamentale per me, ogni tanto, infrangere qualche regola alimentare». Nel match decisivo Panatta supera Newcombe in quattro set e porta l’Italia in finale.

Nell’altra semifinale la Russia lascia strada al Cile senza giocare. Dietro ci sono motivi politici, gli stessi che rischiano di far saltare la finale con l’Italia, a Santiago, che si tiene dal 17 al 19 dicembre 1976 all’Estadio Nacional de Cile. Le vicende politiche legate a questa finale sono state spesso ripercorse e approfondite, quindi non mi soffermerò eccessivamente su questo aspetto della vicenda, se non per restituire il clima che ruotava intorno a Panatta e compagni prima della partenza. Esponenti del Partito Comunista e del Partito Socialista, infatti, nei giorni precedenti spingono affinché l’incontro con i cileni non si disputi. L’obiettivo è di manifestare il dissenso nei confronti della dittatura del Generale Pinochet, che ha deposto con la forza il socialista Allende. Capitan Pietrangeli e tutta la squadra azzurra vogliono partire ugualmente. Sanno che è una grande occasione per l’Italia del tennis e non hanno intenzione di perderla. Comincia una campagna di disinformazione che getta lui e la squadra in un tritacarne mediatico: vengono accusati addirittura di essere pro-Pinochet. Ma Panatta non ci sta e, come riportato da Giorgio Dell’Arti, a fine settembre dichiara: «Facciamo una protesta unitaria contro il Cile a livello mondiale e la cosa mi va bene. In caso contrario è troppo facile lasciare sulle spalle di quattro giocatori il peso della decisione». Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli resistono alle pressioni. Il capitano, Nicola Pietrangeli, lotta in ogni contesto perché la squadra vada a giocare questa finale. Combatte contro tutto e tutti per partire, respinge gli attacchi da destra, da sinistra, dal centro. Crede che lo sport non debba farsi coinvolgere in questioni politiche, che debba restare al di sopra delle parti. Alla fine si ammorbidisce l’iniziale linea intransigente della politica e i ragazzi partono per il Cile. Ma in Italia il clima resta pesante. Addirittura c’è chi scende in piazza al grido di “Non si giocano volée con il boia Pinochet”.

Il 17 dicembre gli azzurri fanno il loro esordio sulla terra battuta dell’Estadio Nacional: il primo incontro vede di fronte Barazzutti e il numero uno cileno James Fillol. Corrado lo supera in quattro set, con il punteggio di 7-5, 4-6, 7-5, 6-1, portando il primo punto all’Italia.Il secondo singolare è senza storia: Panatta liquida facilmente Patricio Cornejo con il punteggio di 6-3, 6-1, 6-3. Il punto più difficile è certamente il doppio, perché la coppia Cornejo-Fillol è forte e collaudata. In quell’occasione Panatta vuole lanciare una provocazione: il colore rosso rappresenta l’opposizione, quella che porta nel cuore il presidente Salvador Allende, ucciso nel colpo di stato, e migliaia di desaparecidos, così Adriano vuole scendere in campo con la maglietta rossa. Racconta Bertolucci a Sky Sport a proposito dello scambio di idee con Panatta il giorno prima dell’incontro: «Va bene Adriano, pur di vincere questo doppio domani scendo in campo anche nudo, ma siccome non sarebbe un bello spettacolo, giocheremo con la maglia rossa. Ma sappi che se per caso andiamo al quarto set, all’intervallo ci cambiamo e decido io con quale maglietta rientriamo in campo. E lui: “Vabbè…”, e finalmente mi lasciò in pace. Il giorno dopo entrammo in campo con la maglietta rossa. Ma sul 2-1 per noi, negli spogliatoi, andai a ricordagli il nostro patto: “Adriano! Blu!” E lui non fece una piega». Panatta e Bertolucci si confermano una coppia forte e affiatata: battono in quattro set i cileni, con il punteggio di 3-6, 6-2, 6-3, 9-7, e regalano all’Italia una storica vittoria. Gli azzurri si perdono in un caloroso abbraccio al centro del campo, insieme a Nicola Pietrangeli e Mario Belardinelli che con il loro supporto vi hanno contribuito. Anche il pubblico cileno applaude. Nonostante il successo, al rientro in patria all’aeroporto di Fiumicino l’accoglienza è tiepida. Pietrangeli ricorda una decina di persone, per lo più addetti dello scalo, e un paio di fotografi. L’Italia del tennis ha comunque compiuto una grande impresa, conquistando meritatamente la sua prima e, a oggi, ultima Coppa Davis. Fortunatamente negli anni la storia ha smussato le polemiche politiche che inizialmente avevano offuscato quel trionfo, mettendo in primo piano l’impresa sportiva e il valore di quella squadra. Un team da sogno di cui ancora oggi andiamo orgogliosi.

La rivincita di Tonino Zugarelli

Tonino Zugarelli

Antonio Zugarelli, detto Tonino o Zuga, è l’uomo con i baffi dell’Italia che porta a casa la Coppa Davis nel 1976. Per molti è la riserva del team, che vede in prima linea Adriano Panatta, Corrado Barazzutti e Paolo Bertolucci, ma il suo contributo risulta fondamentale nella vittoria contro la Gran Bretagna sull’erba di Wimbledon, nella finale della Zona Europea che dava accesso alla fase decisiva del torneo, dove Zuga è certamente più a proprio agio rispetto al titolare, Corrado Barazzutti. Se in quella sfida non avesse battuto Roger Taylor, giocando un ottimo tennis e vincendo in quattro set con il punteggio di 6-1, 7-5, 3-6, 6-1, probabilmente l’Italia non sarebbe arrivata alla finale di Santiago del Cile. Un giocatore d’attacco, Tonino, che da sempre rivendica la sua origine popolare, di ragazzo di strada, di quelli che pulivano i campi e le righe per i signori ricchi. Proprio per strada, da bambino, perde la falange del pollice della mano destra, ma ciò non gli impedisce di diventare un grande giocatore. «Il tennis è stato il modo migliore che ho trovato per farmi accettare. Mi ha dato un posto nel mondo» racconta Zuga nella sua autobiografia, Il riscatto di un ultimo.

L’Italia del 1976 con la Coppa Davis. Da sinistra: Adriano Panatta, Tonino Zugarelli, Nicola Pietrangeli, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci.

Ormai leggendario il suo rapporto tormentato con Pietrangeli nel periodo in cui Nicola è capitano della squadra. Un’incompatibilità che li porta spesso a scontrarsi, anche in maniera accesa. Zugarelli cerca dal tennis un riscatto sociale, vuole la stessa considerazione riservata ai suoi compagni di Davis, ma sembra che Pietrangeli lo tratti come la riserva, il rimpiazzo, e questa cosa non gli va giù. Poi Tonino è uno di pancia, sincero, che le cose le dice a brutto muso. E questo non aiuta il loro rapporto. Zugarelli contribuisce alla vittoria della Davis, ma poco dopo arriva il momento difficile: i primi mesi del 1977 la depressione lo bracca, lo immobilizza, lo tormenta, e lui prova a superarla sul campo di allenamento con l’aiuto di Mario Belardinelli. Ci riesce, riparte e va a giocare sulla terra rossa del Foro Italico gli Internazionali d’Italia. Il primo turno è difficile non tanto per il valore del suo avversario, il connazionale Roberto Lombardi, quanto per l’ansia e le paure che ancora lo attanagliano e che credeva di aver superato. La partita passa in secondo piano, Zugarelli vola altrove con la mente: durante il match pensa al ritiro, alla sua vita senza il tennis. Poi accade che, mentre è inghiottito da un buco nero, Lombardi perda le staffe per una chiamata del giudice di sedia, addirittura gli viene inflitto un punto di penalità. Improvvisamente Zuga risorge dalle ceneri, quasi che la scenata del suo avversario l’abbia svegliato dal torpore, riportandolo sul campo del Foro Italico. Magicamente spariscono le angosce e le paure, scompaiono per sempre. Vince il match e non si ferma più fino alla finale: batte prima lo jugoslavo Željko Franulović in tre set che terminano 6-1, 1-6, 6-0. Nel turno successivo liquida con due tie break il paraguaiano Victor Pecci. In semifinale affronta l’australiano Phil Dent che supera in quattro set con il punteggio 6-4, 5-7, 6-4, 6-2. Nel corso dell’incontro, durante il suo turno di servizio avverte un dolore alla spalla. Il panico. Il giorno dopo prende una fiala di cortisone e novocaina e scende in campo per una storica finale contro il numero uno del mondo, l’americano Vitas Gerulaitis. Zugarelli ha paura di spingere, così perde i primi due set 6-2, 7-6. Poi pensa che non può lasciare sfumare questa grande occasione senza nemmeno accennare una reazione. Decide di dare fondo a tutte le energie che possiede e vince il terzo set 3-6. Nel quarto arriva a giocare il tie break: sul set point per l’italiano una sua volée balla per una frazione di secondo sul nastro e cade nel campo di Zuga. Gerulaitis chiude il conto a proprio favore e si aggiudica gli Internazionali d’Italia. «Quel set per me fu decisivo: se fosse andato diversamente, non esito a dire che avrebbe potuto cambiare la mia carriera di tennista» racconta Tonino nella sua autobiografia. Resta comunque una grande impresa quella di Zugarelli, anche perché maturata in un periodo di profonda crisi. Appena sei giorni prima sembrava dovesse chiudere con il tennis, che la depressione avesse vinto. E invece Tonino dimostra ancora una volta che nel tennis, come nella vita, c’è sempre un’altra possibilità.

Paolo Canè, l’uomo delle imprese

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Paolo Canè

Panatta l’ha definito «l’uomo delle imprese, dei match impossibili». Il tennista bolognese Paolo Canè, classe 1965, ha scritto il suo nome negli annali del tennis, giocando match memorabili in Coppa Davis e agguantando spesso vittorie contro ogni pronostico. Terminata l’era dei vari Panatta, Barazzutti, Bertolucci, Zugarelli, infatti, il movimento tennistico italiano maschile, nella prima metà degli anni Ottanta, vive una fase di smarrimento dovuta all’assenza di un ricambio generazionale. Proprio in quel periodo si affaccia sulla scena Paolo Cané, che gli appassionati, nei momenti di furore agonistico, chiamano Paolino. Fisico esile, asciutto, eppure ha un dritto potente ed efficace, un rovescio ribattezzato ‘turbo’, grande sensibilità nel gioco di volo e nel tocco di palla, capacità di variare il ritmo. Paolino possiede talento e classe da vendere, ma ha anche alcuni punti deboli: una schiena fragile, che a lungo andare gli crea parecchi problemi, passaggi a vuoto a livello mentale che lo rendono discontinuo e un carattere incandescente. Nelle giornate migliori è capace di tutto, anche di mettere all’angolo un fuoriclasse come Ivan Lendl. In questi anni spesso riesce a trasformare i suoi limiti caratteriali in punto di forza. Gli capita soprattutto quando gioca in Coppa Davis, competizione che esalta le sue caratteristiche di combattente, gladiatore nell’arena. Sia chiaro, non è che Canè non abbia combinato nulla nei tornei del circuito ATP. Anzi, in carriera ha vinto tre titoli in singolare, tutti sulla terra rossa, raggiungendo la ventiseiesima posizione del ranking mondiale. Ma nella memoria del grande pubblico, anche per motivi legati alla diffusione televisiva, resta principalmente ‘l’uomo Davis’, quello che, se c’è un’impresa impossibile da compiere, un solo tennista può portarla a termine: Paolo Canè. Su 17 incontri di Coppa disputati in singolare ne vince 9. Mentre in doppio le cose vanno peggio: su 9 match soltanto due vittorie. È viscerale, Cané, quando è in campo non riesce a estraniarsi totalmente da ciò che lo circonda. Non gli basta lanciare un’occhiataccia allo spettatore rumoroso di turno, lui lo prende di petto. Riesce a litigare anche con il proprio pubblico, quello di Roma, mandandolo più volte a quel paese. Ma, appena gli appassionati imparano a conoscerlo, non possono far altro che volergli bene.

I gesti inconsulti vengono cancellati da grandi prestazioni come quelle di Coppa Davis contro la Svezia nel febbraio del 1990, sulla terra rossa di Cagliari, al primo turno. Canè è ispirato e in forma smagliante: il primo giorno batte Jonas Svensson al quinto set, poi lui e Diego Nargiso superano in doppio Jarryd e Gunnarsson. Si va sul 2 pari e il singolare decisivo vede Paolino contro il campione Mats Wilander: l’italiano vince il primo e il secondo set, ma lo svedese risponde portandosi a casa il terzo e il quarto parziale per 3-6, 4-6. Nel quinto set, sul 2 pari, l’incontro viene sospeso per oscurità. Si riparte il lunedì a mezzogiorno con l’azzurro che fa il break e si porta sul 5-2. Potrebbe chiudere nel game successivo quando, sul servizio di Wilander, ha due match point che non riesce a sfruttare. Paolo si innervosisce per l’occasione mancata, ha un passaggio a vuoto e si fa riprendere dallo svedese sul 5 pari. L’azzurro torna al servizio e, sul 40-30, arriva lo scambio più spettacolare del match, quello che resterà nella memoria degli appassionati: dopo un’estenuante sfida da fondo campo, Canè attacca sul dritto di Wilander e va a rete, lo svedese tira un passante che sembra vincente, ma Paolino si oppone con una straordinaria volèe in tuffo, costringendo a rete l’avversario che appoggia la palla dall’altra parte pensando che l’italiano sia finito. E invece no: un generosissimo Canè torna verso la linea di fondo, recupera e spedisce ancora la palla dall’altra parte, l’incredulo Wilander la piazza al centro del campo in demi-volèe e Paolo lo castiga con un passante di rovescio che gli dà il punto del 6-5. L’azzurro cade a terra stremato, subito soccorso da capitan Panatta che lo aiuta ad alzarsi e lo accompagna in panchina. Il pubblico di Cagliari esplode, scandisce in coro il suo nome: Paolino è a un passo dall’impresa.

Nel quinto set non c’è il tie-break, quindi Wilander va a servire per prolungare l’incontro. Ma ora Paolo è più determinato del suo avversario e si porta sul 15-40, guadagnando due match point. Lui e Panatta si guardano, il capitano è teso, Canè non riesce a star fermo. Risponde benissimo alla prima di servizio di Wilander, poi si sposta e attacca con il dritto, seguendolo a rete. Lo svedese alza la palla, il primo smash di Paolo riesce a recuperarlo, il secondo chiude il match. L’Italia batte la Svezia grazie a uno splendido Canè. Panatta e i compagni corrono in campo ad abbracciarlo, viene portato in trionfo. Giampiero Galeazzi, che commenta l’incontro per la RAI, è emozionato: «Canè è riuscito a superare anche se stesso» dice, sottolineando come Paolino abbia preso in mano la squadra, portandola alla vittoria. E si lascia scappare anche un «sembra di essere tornati ai tempi di Panatta». Nella bolgia l’azzurro ha un tracollo e viene accompagnato a spalla da Nargiso fuori dal campo. «La sua vittoria a Cagliari contro Mats Wilander resta la più bella delle emozioni, e anche uno degli incontri più incredibili cui abbia assistito» ricorda Panatta nel libro Più dritti che rovesci. «Cuore e testa matta. Uno capace di guardare negli occhi lo svedese numero uno del mondo e fargli il vicht dopo ogni punto conquistato, lo stesso gesto che Wilander aveva reso famoso nel circuito».

L'abbraccio di Firenze
Canè e Panatta, l’abbraccio di Firenze

Purtroppo l’Italia non riesce a dare seguito a questa grande vittoria: nel turno successivo perde infatti con l’Austria di Muster e Skoff. Prima di concludere, credo che sia doveroso citare anche l’impresa compiuta contro l’Australia a Firenze nel 1993, che non si concretizza nel passaggio del turno ma resta comunque un ricordo straordinario per il sottoscritto e per tutti gli appassionati. Dopo aver chiuso le prime due giornate sul 2 a 1 per l’Australia, con le vittorie nei singolari di Fromberg su Renzo Furlan e di Stefano Pescosolido su Woodford, nonché nel doppio della coppia Woodforde-Woodbridge su Canè-Nargiso, Paolo viene chiamato a sostituire uno spento Furlan contro Woodforde nel primo match della domenica, che potrebbe regalare la vittoria all’Australia o il 2 a 2 all’Italia. In quei giorni l’australiano gravita intorno alla ventesima posizione del ranking mondiale, mentre Canè è a pochi passi dalla duecentesima. Molti addetti ai lavori lo danno per spacciato, altri addirittura lo considerano già un ex giocatore. Non è dello stesso avviso Panatta, che lo conosce bene e punta su di lui. In una torrida domenica di luglio, l’azzurro viene chiamato nuovamente all’impresa: non molla un colpo, combatte, si esalta, litiga con i tifosi australiani, infiamma il pubblico di Firenze con il suo tennis, il carisma, la generosità. In quattro set piega il più quotato Woodforde e regala il 2 pari all’Italia. Alla fine del match abbraccia Panatta e scoppia in lacrime, l’emozione è fortissima, per lui e per noi che abbiamo seguito l’incontro. Purtroppo Pescosolido perde la sfida decisiva che lo vede opposto a Richard Fromberg. Resta però il ricordo di una grande prestazione di Paolo Canè, l’uomo delle imprese impossibili.

 

Coppa Davis, Giappone e Italia in parità

Giappone – Italia 1-1

Chi pensava che la trasferta giapponese per l’Italia del tennis sarebbe stata una passeggiata di salute, considerata anche l’assenza nelle file nipponiche dell’ex numero 5 del mondo Kei Nishikori, dovrà ricredersi. In questo primo turno del World Group di Coppa Davis regna l’equilibrio: dopo la prima giornata il Giappone è più che mai in partita e sul veloce indoor di Morioka il risultato è aperto a ogni soluzione.

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Fabio Fognini

Fognini fatica ma vince. La sfida fra Italia e Giappone è iniziata con la vittoria al quinto set di Fabio Fognini, il nostro numero 1 (n. 22 ranking ATP), sul venticinquenne nipponico, Taro Daniel (n. 100), con il punteggio di 6-4, 3-6, 4-6, 6-3, 6-2. In Coppa Davis, si sa, la classifica mondiale non è indicativa. Contano più le motivazioni e l’entusiasmo, il sacrificio e l’approccio, peculiarità che al giapponese non sono mancate, aiutandolo a sopperire ai suoi limiti tecnici. Il tennista ligure, invece, non ha giocato un buon match: tanti errori gratuiti e un servizio poco incisivo l’hanno obbligato a rincorrere l’avversario, passato in vantaggio per 2 set a 1. Ma nel quarto e nel quinto set Fabio è riuscito a raddrizzare l’incontro con testa e cuore. Bisogna dargliene atto: in questi mesi Fognini sta facendo un gran lavoro su se stesso. In altri tempi, infatti, il match di oggi l’avrebbe perso malamente, macchiando la già opaca prestazione con una delle sue proverbiali sceneggiate. Invece, nonostante le difficoltà e un presunto torto arbitrale, è rimasto concentrato e ha regalato il primo punto all’Italia in 3 ore e 55 minuti.

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Andreas Seppi

Seppi cede a Sugita. Nel secondo singolare, invece, Andreas Seppi (n. 78) ha avuto la peggio con il numero uno delle squadra giapponese, Yuichi Sugita (n. 41). L’altoatesino ha conquistato il primo set con il punteggio di 6-4, poi però è salito in cattedra Sugita che ha vinto il terzo e il quarto per 2-6, 4-6. Nonostante qualche chiamata dubbia e un po’ di confusione da parte del giudice di sedia in un momento cruciale del quarto set, l’italiano è riuscito a portarlo a casa con il punteggio di 6-4. Il quinto set diventava subito incandescente: nel primo gioco Andreas concedeva il break al suo avversario per poi riprenderselo nell’ottavo game, portandosi sul 4 pari. L’inerzia del match sembrava cambiata: in vantaggio 5 a 4 Seppi arrivava per due volte a due punti dalla vittoria e sul 6-5 l’italiano sprecava addirittura un match point con l’ennesimo dritto sparato in rete. A quel punto Sugita riprendeva fiducia e controllo del gioco, portando Andreas al tie-break e travolgendolo con un perentorio 7 a 1. Peccato.

Ora ai ragazzi di Barazzutti serve una grande prestazione nel doppio di domani. L’incontro, infatti, sarà fondamentale per spostare gli equilibri della sfida.

Dal 29 giugno in libreria “GIOCO, PARTITA, INCONTRO”

Dal 29 giugno in libreria il mio GIOCO, PARTITA, INCONTROLe imprese dei campioni di tennis italiani da Nicola Pietrangeli a Flavia Pennetta (Imprimatur).

Il tennis l’ha inventato il diavolo.
È uno sport micidiale, sei da solo per ore e nessuno può aiutarti.
Adriano Panatta

Le memorabili imprese del tennis italiano, maschile e femminile, raccontate in un unico volume. La grandezza di Nicola Pietrangeli, le sue epiche vittorie al Roland Garros e i record in doppio con Orlando Sirola. Il talento straordinario di Adriano Panatta e quel magico 1976, che lo vide trionfare agli Internazionali d’Italia e a Parigi. La conquista della Coppa Davis in Cile e i protagonisti di quell’impresa: Panatta, Barazzutti, Bertolucci, Zugarelli. I match indimenticabili di Paolo Canè e Omar Camporese in Coppa Davis nei primi anni Novanta. La storia di Andrea Gaudenzi, il campione sfortunato che vide sfumare il sogno di riportare in Italia “l’insalatiera”. E poi ancora la dedizione di Renzo Furlan e le prestigiose vittorie nel circuito, la storica semifinale di Filippo Volandri agli Internazionali d’Italia, maturata dopo aver battuto il numero uno del mondo Roger Federer, fino all’ascesa di Fabio Fognini.
La seconda parte del libro è dedicata al tennis italiano femminile: dagli anni di Lea Pericoli e di Silvana Lazzarino, soprannominate rispettivamente “La Divina” e “Minnie”, passando per la passione e le vittorie di Raffaella Reggi e Sandra Cecchini, fino all’esplosione della “leonessa” Francesca Schiavone, che culmina con il trionfo al Roland Garros. Poi l’ascesa di Roberta Vinci e di Sara Errani, che ben presto diventano le Cichis, le numero uno nel doppio femminile, capaci di centrare il Career Grand Slam. E ancora la straordinaria carriera di Flavia Pennetta e la vittoria agli US Open, i leggendari trionfi della squadra di Fed Cup e uno sguardo al presente e al futuro del tennis italiano. Il testo è arricchito dalle testimonianze inedite di due campioni come Raffaella Reggi e Paolo Canè.