Sky Arte, il talento di Ezio Bosso tra le pagine di un libro

Sky Arte ha dedicato questo bell’articolo all’edizione ampliata del mio libro Ezio Bosso. La musica si fa insieme (Diarkos), definendolo “un’immersione dolcissima e appassionante nel pensiero e nei successi del grande maestro”.

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Omaggio a Lucio Dalla, il Poeta che viveva nel futuro


Una serata di parole e musica per raccontare un artista che ha segnato la storia della canzone italiana. Venerdì 28 agosto, all’Osteria della Vigna di Gabicce Mare, presenterò il mio libro LUCIO DALLA. La Vita, Le Canzoni, Le Passioni (Diarkos), ritratto di un artista che ci ha regalato canzoni memorabili, da Anna e Marco a Caruso, da L’anno che verrà a Canzone. La serata, ideata e organizzata da Giulio Lonzi, vedrà la partecipazione musicale di Stefano Ligi, cantautore urbinate prodotto da Lucio Dalla, che ha avuto modo di lavorare al suo fianco e di condividere con lui il palco. 

Roland Garros 2010, la memorabile impresa di Francesca Schiavone

Dieci anni fa, il 5 giugno 2010, Francesca Schiavone vince il Roland Garros, il secondo dei quattro tornei Slam dell’anno, confermando di essere una delle più grandi tenniste italiane della storia di questo sport. Da sempre un concentrato di grinta e potenza, “la leonessa”, per gli amici “la Schiavo”, classe 1980, si mette in evidenza nella seconda metà degli anni Novanta, raggiungendo i primi titoli ITF. Ma l’esplosione definitiva avviene nel 2001 con i quarti di finale al Roland Garros, la semifinale al torneo di Auckland e altri ottimi piazzamenti che la portano tra le prime cinquanta giocatrici del ranking mondiale. In quel momento l’Italia del tennis ha bisogno di un’atleta con la determinazione di Francesca, solida e inesauribile. Gli ottimi risultati registrati anche nel 2003, tra cui spiccano i quarti di finale agli US Open, la lanciano ai vertici del tennis femminile mondiale, tra le top 20 del circuito WTA. La Schiavone continua a crescere, imponendosi anche nel doppio. Ma è nel 2010 che arriva il grande exploit, che segna definitivamente il suo ingresso nella storia del tennis. Che la Schiavone si trovasse a proprio agio sulla terra rossa non era un segreto per nessuno, ma probabilmente a gennaio in pochi avrebbero immaginato quello che sarebbe accaduto durante l’anno. Francesca scalda i motori conquistando il suo terzo titolo WTA a Barcellona. E fra maggio e giugno compie un’impresa titanica al Roland Garros: arriva a Parigi che è numero 17 del ranking mondiale e al primo turno supera la russa Regina Kulikova in tre set, soffrendo e recuperando anche una situazione di svantaggio nel terzo; al secondo turno ottiene una vittoria più agevole contro l’australiana Sophie Ferguson. Ora le si presenta di fronte un ostacolo molto più consistente: la cinese Li Na, ex top ten e testa di serie numero 11 del torneo. Francesca non si lascia intimorire, non concede campo alla temibile avversaria e la supera in due set con il punteggio di 6-4, 6-2. Agli ottavi batte la russa Marija Kirilenko e al turno successivo affronta il primo momento della verità: la sua avversaria, infatti, è la numero 3 del mondo Caroline Wozniacki. La Schiavone è in stato di grazia e così liquida la campionessa danese con un perentorio 6-2, 6-3, senza concederle sbocchi. In semifinale affronta la russa Elena Dement’eva che, dopo un combattuto set vinto da Francesca al tie-break, è costretta a lasciare il passo all’italiana.

A questo punto tutto diventa possibile. Non conta né classifica né palmares: ci sono due giocatrici in ottima forma che per vincere sono pronte a lasciare il sangue sul campo. In finale trova infatti l’australiana Samantha Stosur, testa di serie numero 7 del torneo, che nei quarti ha eliminato Serena Williams in tre set. Francesca prepara molto bene il match, sia dal punto di vista mentale che tattico. Scende in campo concentrata e gioca in maniera perfetta le sue carte, non mostrando mai segni di cedimento o momenti di paura. Anche all’inizio dell’incontro, quando la Stosur serve solo prime palle di servizio e prova a intimorirla con un dritto micidiale, la Schiavone non si fa mettere all’angolo, non cede campo. Anzi, sul 2 pari risponde con aggressività ai servizi dell’australiana che superano i 190 km/h. La svolta arriva al nono game del primo set, quando l’italiana ha tre palle break: le prime due non hanno buon esito, quella vincente è la terza, complice un regalo della Stosur che fa doppio fallo. Ora tocca a Francesca chiudere il primo set provando a sfruttare il servizio. Va subito sotto 0-30, probabilmente avverte l’importanza della posta in gioco, ma poi infila tre punti consecutivi e va giocare un set point, che però non va a buon fine. Un altro set point, e questa volta conquista il punto decisivo e chiude il parziale per 6-4 dopo quaranta minuti. Ma la Stosur non ci sta, e all’inizio del secondo set si mostra subito aggressiva, conquistando un break e portandosi sul 4-1. Dopo il calo iniziale, Francesca torna a esprimersi ad altissimi livelli e al settimo gioco recupera il break che aveva perso. Da quel momento è un testa a testa che la conduce dritta sul 6 pari. Questo tie-break potrebbe spalancare le porte della storia alla Schiavone o intrappolarla in un insidioso terzo set. All’inizio entrambe le giocatrici tengono il servizio, poi sul 3-2 a proprio favore la Schiavone fa il mini break, infilando successivamente tre punti consecutivi che la portano sul 7-2 e la decretano campionessa del Roland Garros 2010.

Alza le braccia al cielo e cade a terra incredula, bacia il manto rosso del campo centrale Philippe Chatrier. È la prima tra le donne del tennis italiano a vincere una prova dello Slam in singolare. «Oggi sono andata oltre i miei limiti. Ho pensato che puoi arrivare a questo punto solo se lavori molto duro e se hai qualcosa di speciale dentro. Quello che è successo è qualcosa che viene da molto lontano» dichiara dopo il match in conferenza stampa, come riportato da «Tuttosport». È una gioia incredibile, anche perché questa vittoria la porta nella top ten del ranking mondiale, alla posizione numero 6 della classifica, record assoluto per una tennista italiana.

«È buffo: ricorda più il corpo della mente” racconta Francesca dieci anni dopo in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. «La sensazione della pancia e delle gambe per terra sul centrale ruvido, dopo il match point con la Stosur, è qui con me. Sentivo la forma che mi cresceva dentro, partita per partita, fino alla finale. Un’emozione difficile da spiegare. […]Ero totalmente calata nel momento e nella situazione. Ricordo il pensiero prima dell’ultimo punto: mandami la palla, che la gioco come voglio io. Se mi servi sul rovescio, io la colpisco alta, in anticipo, e te la rimando sul rovescio. Io posso, io faccio, io, io, io. Zero paura, soltanto positività. A questo punto posso dire di credere nel destino: lo disegniamo noi. Poi ci sono forze più grandi che ci aprono le strade».

US Open 2015: Pennetta e Vinci conquistano l’America

Il 12 settembre 2015 gli occhi di tutti gli appassionati di sport sono puntati su ciò che succede a New York: a Flushing Meadows tra poche ore scenderanno in campo Flavia Pennetta e Roberta Vinci, amiche d’infanzia, atlete italiane che si trovano entrambe a un passo dalla storia. Il tennis femminile italiano non ha mai raggiunto queste vette. Il Premier Renzi raggiunge New York in rappresentanza delle istituzioni per assistere al coronamento della carriera della nostre atlete. Alla vigilia entrambe vivono la tensione dei grandi appuntamenti: nella sua stanza Flavia guarda un film italiano che le strappa qualche risata, poi prova a dormire, ma è difficile non pensare al match che l’aspetta. Quando Morfeo la prende tra le sue braccia, crolla in un sonno profondo. Roberta, invece, dorme poche ore, «le ho contate su un palmo di mano», confessa. Arriva l’alba del 12 settembre ed è ora di prepararsi. Poco prima del match si incontrano casualmente, si fermano a chiacchierare senza indugio, tanto che Boris Becker, il grande Bum Bum, che in quei giorni è il coach di Djokovic, le guarda meravigliato, si avvicina e ricorda loro che hanno una finale da disputare l’una contro l’altra: «Ma voi lo sapete che dovete giocare contro tra poco?» E loro a tranquillizzarlo, che l’amicizia a volte è più forte della rivalità, poi in campo vinca la migliore, chi gioca meglio, chi indovina la tattica, chi ha più energie in quel momento. Poco dopo sono sul terreno di gioco e inizia la sfida. «Che dire? Tiro i primi quattro colpi e sono uno più sbagliato dell’altro. E allora mi dico: Flavia, ricomponiti. Accetta la partita, non puoi fare figuracce. Adattati» racconta la Pennetta a «la Repubblica» a proposito delle fasi iniziali del match. Flavia si ricompone e il primo set prosegue in costante equilibrio. Poi arrivano al tie-break, dove la brindisina si impone per 7 punti a 4. Nel secondo, invece, Roberta molla fisicamente e mentalmente. La Pennetta si porta sul 4-0, ma quando vede il traguardo comincia a irrigidirsi. Così la Vinci prova a tornare in partita, ma sul 4-2 Flavia gioca un ottimo settimo game e allunga, agguantando poco dopo un 6-2 che vale il titolo. Loro che sono state rivali, amiche e complici fin da ragazzine, quando condivisero la stanza al centro federale dell’Acqua Acetosa «con i poster di Leonardo di Caprio e Paolo Maldini in bella mostra», si ritrovano a essere l’orgoglio di una nazione. «[…] Dopo il miracolo di aver giocato contro di lei una finale dello Slam, penso spesso ai quattro anni che abbiamo vissuto avvicinando i letti la sera, come fanno le adolescenti» racconta Roberta a «D». «L’abbraccio della finale è durato quaranta secondi perché è stato un ritrovarsi, con lei che mi diceva: “Robé, guarda dove siamo arrivate insieme”, e io: “Goditela. E Penne, sono stanchissima, ho dolori dappertutto”. Poi mi ha buttato lì quel “Mi ritiro, non ce la faccio più…”».

E infatti durante la premiazione annuncia il ritiro dal tennis, puntualizzando però che avrebbe finito la stagione. E pensare che questa vittoria la proietta all’ottavo posto del ranking mondiale, che diventa una sesta posizione a fine settembre, il suo miglior piazzamento in assoluto. La finale agli US Open rilancia la Vinci tra le prime venti giocatrici della classifica WTA, precisamente al 19° posto. Finisce l’anno con buone prestazioni al torneo di Wuhan, dove viene fermata in semifinale da Venus Williams con il punteggio di 5-7, 6-2, 7-6, non sfruttando un match point, e poi al Master B di Zhuhai, in cui sempre in semifinale ritrova Venus a sbarrarle la strada. Grazie a questi risultati arriva fino alla 15esima posizione nel ranking WTA di singolare, piazzamento che migliora nei primi mesi del 2016 con la vittoria al torneo di San Pietroburgo e altre ottime prestazioni che nel mese di aprile la portano a occupare la settima posizione della classifica mondiale, il suo best ranking. «Nonostante la vittoria, la mia scelta non è cambiata» conferma invece Flavia a novembre del 2015, quando va ospite alla trasmissione di Sky I Signori del Tennis. «Nel senso che è stato meraviglioso, perché ho avuto l’opportunità di fare qualcosa che ho sempre sognato di fare. Perché io ricordo e non mi scorderò mai Sampras dare l’addio e fare il giro del campo con suo figlio in braccio, mi ricordo che disse: It’s the time to say goodbye. Ho avuto la stessa opportunità e non me la sono fatta scappare». La Pennetta è la seconda italiana a conquistare un torneo dello Slam di singolare femminile, prima di lei ci era riuscita soltanto Francesca Schiavone. Dopo aver dato tanto a questo sport, a 34 anni decide che è arrivato il tempo di fermarsi e di realizzare un sogno altrettanto importante come quello di una famiglia e di un figlio. Nel giugno del 2016 sposa il collega Fabio Fognini e pochi mesi dopo una nuova vita comincia a muoversi dentro di lei. Voglio chiudere il capitolo dedicato alla Pennetta con questa dichiarazione che racchiude tutta la passione e il sacrificio che l’atleta pugliese ha regalato a questo sport: «Il tennis è il mio primo amore, il secondo è Fabio, ma il tennis rimarrà sempre il mio primo amore» dichiara sempre a I signori del Tennis, come riportato da «Tuttosport». «Penso che è qualcosa che ho dentro, che avrò sempre e che non si spegne. Non ho giocato tutti questi anni solo perché giocavo bene, perché guadagnavo o perché era il mio lavoro. È sempre stato molto di più. È un’appartenenza, la mia, nei confronti di questo sport. Non mi vedo senza tennis, neanche tra un anno, due anni. È qualcosa che non concepisco. […] Penso che non verrò ricordata come la più forte, ma come una persona che ha dato tanto per questo sport, si è rialzata molte volte, è caduta, si è rialzata, è di nuovo ricaduta e si è rialzata con una forza particolare». 

Coppa Davis 1976: il trionfo dell’Italia, tra polemiche e pressioni politiche

Partiamo da un fatto sportivo: nel 1976 la nazionale maschile di tennis vince la Coppa Davis, la massima competizione a squadre di questo sport, sul campo e con grandi meriti. Siamo nell’anno in cui Adriano Panatta raggiunge il pieno della maturità tennistica, affermandosi sia come leader indiscusso della squadra sia come campione a livello individuale con le vittorie agli Internazionali d’Italia e al Roland Garros. Al suo fianco ha colleghi di grande valore. Uno di questi è Paolo Bertolucci, figlio di un maestro di tennis e quindi nato con la racchetta nella culla. Grande talento, ma molto pigro e amante della buona cucina, che spicca per le sue doti di doppista. Poi c’è Corrado Barazzutti, giocatore molto solido dal punto di vista atletico, votato al sacrificio, che possiede una continuità invidiabile nel gioco e nei risultati. E infine Tonino Zugarelli, anche lui un ottimo atleta che riesce a esprimersi meglio sulle superfici veloci. Dopo la brutta sconfitta nell’edizione del 1975 contro una non irresistibile Francia, che costò il posto da capitano a Fausto Gardini, la guida della squadra viene presa da Nicola Pietrangeli, mentre Mario Belardinelli rimane a ricoprire il ruolo di direttore tecnico. Ed ecco arrivare nuove motivazioni e una maturità che probabilmente attendeva solo il momento giusto per esplodere.

Quell’anno l’Italia di Pietrangeli parte bene, battendo la Polonia e la Jugoslavia senza particolari patemi. Poi a luglio affrontano la Svezia di Bjorn Borg, fresco campione di Wimbledon. L’Italia gioca in casa, sui campi del Foro Italico, ma la sfida sulla carta è difficile. Finché non arriva il forfait di Borg per un leggero infortunio. Senza il loro campione, gli svedesi diventano facile preda di Panatta e compagni, i quali si qualificano così alla finale della Zona Europea, che li mette di fronte alla Gran Bretagna. La vera insidia non è costituita tanto dal valore avversario, quanto dalla superficie scelta dai padroni di casa, ovvero l’erba. I risultati e la tradizione sul manto verde non pendono certo dalla parte degli azzurri. Bisogna prendere quindi le contromisure: come singolarista viene schierato Zugarelli che, rispetto a Barazzutti, si sente maggiormente a proprio agio sull’erba. La mossa si rivela vincente: Tonino porta a casa il primo punto contro Roger Taylor, giocando un ottimo tennis e vincendo in quattro set con il punteggio di 6-1, 7-5, 3-6, 6-1. «Alla fine della partita ci fu un abbraccio collettivo» ricorda Zugarelli nell’autobiografia, Zuga – Il riscatto di un ultimo. «Scesero tutti in campo per festeggiare la vittoria, Belardinelli per primo. C’era un clima di entusiasmo, di emozione, un sentimento di unione e la consapevolezza di una squadra che sospettavamo potesse crescere ancora».Poi tocca a Panatta che deve affrontare John Lloyd nel secondo singolare: sulla scia dell’entusiasmo Adriano lo supera in cinque set. Il doppio non va benissimo: i solidissimi Panatta e Bertolucci cedono al quinto set dopo aver condotto per 2 set a 0. Ma ci pensa Adriano a chiudere la pratica battendo Roger Taylor in quattro set, seguito da Zugarelli che, a risultato ormai acquisito, porta a casa anche l’ultimo incontro.

Nella semifinale, in cui si incrociano i vincitori delle diverse Zone, l’Italia trova il colosso Australia da contrastare, per fortuna, sulla terra rossa del Foro Italico di Roma. Gli azzurri hanno davanti il tre volte campione di Wimbledon, John Newcombe, che però non è più il giocatore brillante di qualche anno prima. Il vero osso duro si rivela infatti John Alexander, che vince entrambi i singolari, superando prima Panatta, in tre set, e poi Barazzutti al quinto. Newcombe finisce per rivelarsi l’anello debole della catena, perdendo prima il match di esordio contro Corrado per 7-6, 6-1, 6-4, poi il doppio e il singolare decisivo contro Panatta. La vittoria più importante della tre giorni di Davis è certamente quella di Panatta e Bertolucci nel doppio: la quotata coppia australiana viene dominata dagli azzurri che si impongono con un perentorio 6-3, 6-4, 6-3. «Battere in casa Newcombe e Roche, cinque volte campioni a Wimbledon, i miei idoli, fu il massimo» racconta Bertolucci a Sky Sport. «Sì, come premio partita chiesi un piatto di pasta e fagioli. E Belardinelli me l’accordò. Sapeva quanto fosse fondamentale per me, ogni tanto, infrangere qualche regola alimentare». Nel match decisivo Panatta supera Newcombe in quattro set e porta l’Italia in finale.

Nell’altra semifinale la Russia lascia strada al Cile senza giocare. Dietro ci sono motivi politici, gli stessi che rischiano di far saltare la finale con l’Italia, a Santiago, che si tiene dal 17 al 19 dicembre 1976 all’Estadio Nacional de Cile. Le vicende politiche legate a questa finale sono state spesso ripercorse e approfondite, quindi non mi soffermerò eccessivamente su questo aspetto della vicenda, se non per restituire il clima che ruotava intorno a Panatta e compagni prima della partenza. Esponenti del Partito Comunista e del Partito Socialista, infatti, nei giorni precedenti spingono affinché l’incontro con i cileni non si disputi. L’obiettivo è di manifestare il dissenso nei confronti della dittatura del Generale Pinochet, che ha deposto con la forza il socialista Allende. Capitan Pietrangeli e tutta la squadra azzurra vogliono partire ugualmente. Sanno che è una grande occasione per l’Italia del tennis e non hanno intenzione di perderla. Comincia una campagna di disinformazione che getta lui e la squadra in un tritacarne mediatico: vengono accusati addirittura di essere pro-Pinochet. Ma Panatta non ci sta e, come riportato da Giorgio Dell’Arti, a fine settembre dichiara: «Facciamo una protesta unitaria contro il Cile a livello mondiale e la cosa mi va bene. In caso contrario è troppo facile lasciare sulle spalle di quattro giocatori il peso della decisione». Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli resistono alle pressioni. Il capitano, Nicola Pietrangeli, lotta in ogni contesto perché la squadra vada a giocare questa finale. Combatte contro tutto e tutti per partire, respinge gli attacchi da destra, da sinistra, dal centro. Crede che lo sport non debba farsi coinvolgere in questioni politiche, che debba restare al di sopra delle parti. Alla fine si ammorbidisce l’iniziale linea intransigente della politica e i ragazzi partono per il Cile. Ma in Italia il clima resta pesante. Addirittura c’è chi scende in piazza al grido di “Non si giocano volée con il boia Pinochet”.

Il 17 dicembre gli azzurri fanno il loro esordio sulla terra battuta dell’Estadio Nacional: il primo incontro vede di fronte Barazzutti e il numero uno cileno James Fillol. Corrado lo supera in quattro set, con il punteggio di 7-5, 4-6, 7-5, 6-1, portando il primo punto all’Italia.Il secondo singolare è senza storia: Panatta liquida facilmente Patricio Cornejo con il punteggio di 6-3, 6-1, 6-3. Il punto più difficile è certamente il doppio, perché la coppia Cornejo-Fillol è forte e collaudata. In quell’occasione Panatta vuole lanciare una provocazione: il colore rosso rappresenta l’opposizione, quella che porta nel cuore il presidente Salvador Allende, ucciso nel colpo di stato, e migliaia di desaparecidos, così Adriano vuole scendere in campo con la maglietta rossa. Racconta Bertolucci a Sky Sport a proposito dello scambio di idee con Panatta il giorno prima dell’incontro: «Va bene Adriano, pur di vincere questo doppio domani scendo in campo anche nudo, ma siccome non sarebbe un bello spettacolo, giocheremo con la maglia rossa. Ma sappi che se per caso andiamo al quarto set, all’intervallo ci cambiamo e decido io con quale maglietta rientriamo in campo. E lui: “Vabbè…”, e finalmente mi lasciò in pace. Il giorno dopo entrammo in campo con la maglietta rossa. Ma sul 2-1 per noi, negli spogliatoi, andai a ricordagli il nostro patto: “Adriano! Blu!” E lui non fece una piega». Panatta e Bertolucci si confermano una coppia forte e affiatata: battono in quattro set i cileni, con il punteggio di 3-6, 6-2, 6-3, 9-7, e regalano all’Italia una storica vittoria. Gli azzurri si perdono in un caloroso abbraccio al centro del campo, insieme a Nicola Pietrangeli e Mario Belardinelli che con il loro supporto vi hanno contribuito. Anche il pubblico cileno applaude. Nonostante il successo, al rientro in patria all’aeroporto di Fiumicino l’accoglienza è tiepida. Pietrangeli ricorda una decina di persone, per lo più addetti dello scalo, e un paio di fotografi. L’Italia del tennis ha comunque compiuto una grande impresa, conquistando meritatamente la sua prima e, a oggi, ultima Coppa Davis. Fortunatamente negli anni la storia ha smussato le polemiche politiche che inizialmente avevano offuscato quel trionfo, mettendo in primo piano l’impresa sportiva e il valore di quella squadra. Un team da sogno di cui ancora oggi andiamo orgogliosi.

Internazionali d’Italia 1955: la drammatica finale fra Fausto Gardini e Beppe Merlo

Fausto Gardini

Nei primi anni Cinquanta il tennis italiano maschile vede imporsi due giocatori molto diversi fra loro: Fausto Gardini e Giuseppe Merlo, detto Beppe. Gardini: tecnica non eccelsa, ma grande solidità fisica e mentale che gli permette di competere ad alti livelli e di togliersi parecchie soddisfazioni. Quando entra in campo ha un solo imperativo: vincere! Ha grinta da vendere, un dritto letale e un ottimo servizio, ma la tecnica è un dettaglio trascurabile, l’importante è raggiungere l’obiettivo con tutti i mezzi possibili. Possiede un carisma contagioso, che lo porta a diventare l’idolo del pubblico, riuscendo ad avvicinare al tennis tantissime persone. «Era un tennista che il pubblico seguiva con passione» ricorda Pietrangeli nel libro C’era una volta il tennis. «Fausto ebbe il merito di rendere popolare il nostro sport. Lo avvicinò al calcio. La gente combatteva al suo fianco. In uno sport fatto di silenzi e di gesti bianchi lui sembrava un direttore d’orchestra: esigeva il silenzio. Chiedeva l’applauso! La gente obbediva. Fausto è stato un caso unico e irripetibile nella storia del nostro sport. Era un campione che trascinava. Vederlo giocare era meglio che andare al cinema. Non è vero, come vuole la leggenda, che ogni palla venisse rubata agli avversari. Fausto aveva inventato un suo modo di orchestrare i match. Spaventava i giudici di linea. Dominava psicologicamente gli avversari».Gardini si impone nei campionati italiani per cinque anni consecutivi e nel 1952 trascina la squadra di Davis, insieme a Cucelli e ai fratelli Del Bello, prima alla vittoria della Zona Europea e poi a una finale interzone che però vede vittoriosi gli Stati Uniti sull’erba di Sydney.

Beppe Merlo
Beppe Merlo

Il rivale storico di Gardini è Beppe Merlo, dotato di un efficace rovescio a due mani e di solidità fisica. Non possiede un servizio potente, ma in compenso riesce a piazzarlo molto bene, gioca d’anticipo e ha tocco di palla. E poi colpisce di dritto con una originale impugnatura a metà manico. In campo Merlo è corretto oltre ogni limite, a costo di danneggiare se stesso. «Beppe non rubò mai un punto su un campo da tennis – ricorda ancora Pietrangeli in C’era una volta il tennisAndava addirittura contro il giudizio degli arbitri. Giocando con Remy, campione di Francia, sul Centrale di Roland Garros, al quinto set corresse il giudice di sedia e regalò il quindici che mandò il francese a servire per il match. Fino a quel momento aveva avuto tutto il pubblico contro. Quando Beppe vinse venne giù lo stadio». Per quattro volte vince i campionati assoluti italiani, ma numerosissimi sono i trionfi a livello internazionale, dalla Germania a Bombay, sia in singolare che in doppio. Tra lui e Gardini inizialmente non corre buon sangue: solo nel 1962, grazie a una trasferta in California voluta dalla Federazione, diventeranno buoni amici. All’inizio sono soltanto rivali, entrambi molto forti sulla terra rossa. Ne danno dimostrazione quando raggiungono la finale degli Internazionali d’Italia nel 1955, dopo aver liquidato con autorità i rispettivi avversari. La sfida decisiva si trasforma in un incontro memorabile che sul finale prende una piega drammatica. Ma partiamo dall’inizio. Facendo leva sul suo temibile dritto, nel primo set Gardini si impone con un netto 6-1. Nel secondo gli scambi si allungano, Merlo comincia a sbagliare sempre di meno e alla fine prende il largo, aggiudicandosi il set con il medesimo punteggio con cui il suo rivale aveva vinto il primo. Sul risultato di parità, nel terzo comincia a salire la tensione sia sul campo che tra il pubblico: un Merlo in grande spolvero si porta sul punteggio di 3-0 e Gardini comincia a perdere le staffe. Nel quarto game Fausto protesta perché Beppe, che d’abitudine dopo il servizio lascia cadere la palla per avere la mano libera ed eseguire così il rovescio bimane, nel compiere quel gesto lo ha distratto. L’arbitro fa ripetere il punto e Merlo commette doppio fallo. Nonostante il tentativo da parte di Gardini di destabilizzare il suo rivale, Beppe porta a casa il terzo set, dopo un’ora di gioco, con il punteggio di 6-3. In quel momento ha inizio la parte più drammatica del match: «Dopo il terzo set c’è il riposo. Per raggiungere gli spogliatoi Merlo viene portato addirittura a braccia – racconta Ubaldo Scannagatta su Ubitennis.com Gardini, gli occhi spiritati nel volto ancor più ossuto, non pensa minimamente a mollare. Digrignando i denti, anzi, si rivolge ad arbitro e dirigenti FIT: ‘Guardate l’orologio! Dieci minuti, non di più… attenzione!’ ha l’aria di minacciare. Intanto Merlo, su una panca, piange. […] Il melodramma continua alla ripresa del gioco. Merlo rientra in campo addirittura sorretto da due infermieri”.

Fausto Gardini

Il quarto set viaggia in perfetto equilibrio, a suon di break e controbreak, tra errori arbitrali e contestazioni. Nonostante le condizioni fisiche precarie di Merlo e il nervosismo di Gardini, tra i due è battaglia vera, così si arriva sul 6-5 per Beppe. Nel dodicesimo gioco va in scena il momento più drammatico del match, sotto gli occhi dei fotografi e di un pubblico ormai incandescente: «Merlo ha due match point, ma quando Gardini gli annulla il primo crolla a terra vittima dei crampi alle gambe» racconta il giornalista Giorgio Bellani su «Stampa Sera» dell’11 maggio 1955, come riportato da Giorgio Dell’Arti. «Rialzatosi a fatica, Merlo cade nuovamente dopo che Gardini gli annulla il secondo match point (stavolta è pure vittima di una crisi di nervi). Di nuovo in piedi, Merlo riesce a procurarsi un terzo match point[…]”. Intanto Gardini, dopo la seconda caduta di Merlo, va su tutte le furie. Pensa che sia una sceneggiata e gli spettatori sono con lui. Quando poi Fausto annulla anche il terzo match point e Beppe crolla nuovamente a terra, il pubblico fischia inferocito. A quel punto Merlo si ritira, lasciando la vittoria a Gardini. Come racconta Pietrangeli a Lea Pericoli, il match finisce in «un’orrenda gazzarra»dai risvolti tragici: «Era l’imbrunire e dovette intervenire la forza pubblica per calmare gli animi del pubblico impazzito che lanciava in campo giornali incendiati. Ormai era buio. Da una parte c’era Beppe sdraiato per terra con i crampi. Dall’altra Fausto che tirava giù la rete urlando: Ho vinto! Ho vinto!»  A Merlo sfugge così la possibilità di conquistare gli Internazionali d’Italia, mentre Gardini si sposa e al termine di quell’annata positiva decide di abbandonare l’attività agonistica ad appena venticinque anni, per poi riprendere nel 1960. Ma al suo rientro non potrà fare molto: il protagonista assoluto è ormai un certo Nicola Pietrangeli.